martedì, 15 ottobre 2024

Cassazione civile, sez. I, sentenza 11.11.2010 n. 22915 , Fallimento, versamenti, istituto di credito, apertura di credito, revocatoria.

 Cassazione civile, sez. I, sentenza 11.11.2010 n. 22915
Fallimento, versamenti, istituto di credito, apertura di credito, revocatoria

E’ legittima la revocatoria fallimentare sulle somme versate dall’imprenditore fallito ad un istituto di credito al fine di decurtare il passivo verso la banca, a seguito di un apparente accordo di apertura di credito.

Svolgimento del processo
In data 20 febbraio 1989 veniva dichiarato il fallimento della (…) s.r.l.
Con citazione notificata il 17.5.1990 la curatela di detto fallimento conveniva dinanzi al Tribunale di ….. la Cassa di Risparmi e Depositi di ….. chiedendo revocarsi, ai sensi dell’art. 67 secondo comma legge fallimentare, tutte le rimesse affluite nell’anno antecedente alla dichiarazione di fallimento sul conto corrente intrattenuto dalla fallita presso la banca suddetta ed ammontanti a lire 1.963.028.072
La Cassa convenuta, cui subentrava per fusione la banca (…) s.p.a., sì opponeva alla domanda, contestando che le circostanze addotte dalla curatela fossero sufficienti a dimostrare la conoscenza da parte dalla banca dello stato di insolvenza nonché la natura solutoria delle rimesse.
Il Tribunale adito rigettava la domanda della curatela, sul rilievo che questa non aveva fornito la prova, della quale era onerata ex art. 67 secondo comma, legge fall., della conoscenza da parte della banca dello stato di insolvenza della fallita, compensando tra le parti le spese del giudizio.
Detta sentenza veniva impugnata dalla curatela fallimentare dinanzi alla Corte d’Appello di …… A sua volta la banca (…) s.p.a. proponeva appello incidentale contestando la compensazione delle spese processuali. Con sentenza in data 29 aprile 2005, depositata il 30.8.2005, la Corte d’Appello, in riforma della sentenza impugnata, dichiarava inefficaci, fino all’ammontare in euro corrispondente a lire 1.180.850.303, le rimesse affluite nel conto corrente intrattenuto dalla (…) S.r.l. presso la Cassa di Risparmi e Depositi di ….., condannando la (…) s.p.a. al pagamento a favore della curatela fallimentare della suddetta somma in euro corrispondente a lire 1.180.850.303, oltre agli interessi legali dalla domanda giudiziale.
Avverso detta sentenza la (…) s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo. Il Fallimento (…) s.r.l. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione
Con l’unico motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 67, II comma, L.F. laddove la Corte d’Appello ha ritenuto sussistere sia il presupposto soggettivo sia quello oggettivo dell’azione revocatoria – Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2727 e 2739 cc. e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a un punto essenziale della controversia laddove la Corte d’Appello ha ritenuto fornita la dimostrazione della conoscenza dello stato di insolvenza della (…) da parte della banca attraverso presunzioni.
Deduce la ricorrente che le tre rimesse rispettivamente di lire 80, 910 e 712 milioni (depurate del costo delle operazioni di sconto ) effettuate dalla società -(…) nell’anno antecedente la dichiarazione di fallimento sul conto corrente da questa intrattenuto presso la Cassa di Risparmio di ….., diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d’Appello, non avrebbero carattere solutorio e pertanto non sarebbero revocabili. Tali rimesse, essendo il conto assistito da fido, avevano soltanto la funzione di ripristino della provvista.
Risulta infatti, secondo la ricorrente, dai documenti prodotti in giudizio che la banca, dopo la revoca degli affidamenti del 19.10.1987, disposta a seguito della revoca della fideiussione prestata da parte dei soci (…) effettuata in conseguenza della cessione delle loro quote sociali, ritenendo la (…) ciò nonostante degna di fiducia, passò da affidamenti generalizzati ad affidamenti specifici e con delibera del Comitato di Gestione del 14.4.1988 concesse alla (…) tre linee di credito per gli importi di £. 80.000.000, £. 910.000.000 e £. 712.000.000, corrispondenti agli importi dei titoli negoziari.
Siccome, secondo il consolidato indirizzo della Corte di Cassazione, il carattere solutorio di ogni singola rimessa va determinato tenendo conto della soglia di disponibilità ragguagliata al limite del fido, detti accrediti transitati sul conto nei limiti del fido non potrebbero essere revocati.
Deduce altresì la ricorrente che i fatti (sospensione dei fidi, conseguenti alla revoca delle fideiussioni prestate da (…) ritorni di insoluti, richiesta di un decreto ingiuntivo e del sequestro conservativo da parte di un creditore per grosse somme, la vendita dell’azienda ) ritenuti dalla Corte d’Appello fonte di prova della conoscenza da parte della banca dello stato di insolvenza della società fallita, pur in sé considerati secondo un criterio di normalità non avrebbero affatto il significato univoco di manifestazioni esteriori di uno stato di insolvenza. Inoltre anche a prescindere dal significato oggettivo di tali fatti, non sarebbe stata fornita la prova che essi fossero stati conosciuti e, se conosciuti, fossero stati percepiti quali elementi rivelatori di difficoltà finanziarie dell’impresa.
Il motivo è infondato.
Detto motivo si articola su due censure: con la prima si censura la ritenuta natura solutoria delle rimesse bancarie; con la seconda la ritenuta conoscenza da parte della banca dello stato di insolvenza della società poi dichiarata fallita.
La prima censura impone innanzitutto di chiarire quale sia la causa dell’apertura di credito.
Con il contratto di apertura di credito bancario la banca si obbliga a tenere a disposizione dell’altra parte una somma di danaro per un dato periodo di tempo o a tempo determinato (art. 1842 cc); l’accreditato, se non è convenuto altrimenti, può utilizzare in più volte il credito e può con successivi versamenti ripristinare la sua disponibilità.
Se tra un cliente imprenditore, che si trovi in una situazione di difficoltà economica, e la banca viene concluso un contratto di apertura di credito senza che i successivi versamenti possano essere riutilizzati dal cliente, il contratto di apertura di credito e soltanto apparente, atteso che, in tal modo, viene posta in essere una attività negoziale, cui non mi risponde il regolamento di interessi tipico di detto contratto, ma un diverso regolamento di interessi.
Lo scopo in tal caso non è quello di mantenere una determinata somma e per un dato periodo di tempo a disposizione del cliente, ma di consentire alla banca di recuperare i crediti nei confronti del cliente, senza che i versamenti effettuati da questi, nei limiti dell’apertura di credito, possano essere ritenuti di natura solutoria e come tali fatti oggetto di azione revocatoria.
E’ evidente che in tal caso la mancanza della causa tipica – il tenere una somma di danaro a disposizione del cliente costituisce un elemento essenziale della causa del contratto di apertura di credito impone di ritenere detti versamenti solutori e non ripristinatori  della provvista.
Una simile vicenda si è verificata nel caso di specie. Risulta dalla sentenza impugnata, che la Banca ricorrente verso la fine di settembre 1987 revocò gli affidamenti concessi alla (…) invitandola nel contempo ad eliminare il pesante scoperto; che fin dall’ottobre 1987 detta società ebbe, a cessare ogni attività; che nel marzo 1988 ebbe anche il vendere il proprio stabilimento, unico bene di sua proprietà; che dopo la vendita dello stabilimento e quando la società non era, quindi, più  operativa, la banca aveva, con delibera del comitato di gestione del 1988- accordato alla società ulteriori linee di credito corrispondenti all’importo di tre cambiali cedute alla banca, che la (…) aveva avuto in pagamento dello stabilimento da parte della acquirente (…) s.r.l. rispettivamente dell’importo di 80,910,712 milioni di lire.
Il giudice a quo ha affermato che la concessione di dette linee di credito era strumentalmente diretta esclusivamente a scongiurare la revocabilità dei versamenti, in quanto avrebbero dovuto ritenersi ripristinatori della provvista, perchè effettuati dentro la scopertura autorizzata; che può ritenersi ripristinatore della provvista il  versamento di somme che il cliente può tornare, ad utilizzare a suo piacimento, ma non di quella che, come nel caso di specie, vanno a senso unico per essere incassate in via definitiva dalla banca ad estinzione del suo credito: che le tre rimesse di cui sopra servivano esclusivamente a decurtare il rilevante passiva della società verso la banca e non a ricostituire la provvista; che le suddette linee di credito erano, quindi, apparenti, in quanto servite esclusivamente a consentire lo sconto delle cambiali rilasciate dalla (…) a pagamento del prezzo di acquisto dello stabilimento. Tale motivazione non è stata censurata dalla banca ricorrente che assume nel ricorso che, per il solo fatto della esistenza delle tre linee di credilo concesse alla (…) corrispondenti agli importi dei titoli negoziati, le rimesse in questione non avrebbero natura di pagamento, ma di ripristino della provvista.
Nulla dice la ricorrente per confutare la ritenuta apparenza delle concesse linee di credito e quindi, il ritenuto conseguente carattere solutorio delle rimesse, non potendosi queste ritenere effettuate nell’ambito di una scopertura effettivamente autorizzata.
Anche la seconda censura attinente alla conoscenza dello stato di insolvenza non ha pregio.
La ricorrente sostiene che lo stato di insolvenza sarebbe stato ritenuto sulla base di fatti, quali resistenza di un decreto ingiuntivo ed il sequestro ottenuto da un creditore di grosse somme, che non potevano considerarsi noti alla banca.
Il collegio osserva che il giudice a quo ha dedotto la conoscenza da parte della banca dello stato di insolvenza della società da fatti intervenuti nell’ambito dei rapporti con la società e quindi, direttamente conosciuti dalla banca, mentre gli elementi che la ricorrente ritiene non conosciuti sono stati considerali dal giudice a quo solamente come “sintomi aggiuntivi che confermano l’evoluzione negativa della situazione, sfociata infine nel fallimento”.
Anche con riferimento all’elemento soggettivo della revocatoria la sentenza impugnata appare pertanto adeguatamente motivata ed immune da errori logico-giuridici.
Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto e la ricorrente condannata a rimborsare al Fallimento resistente le spese del giudizio di cassazione, che appare giusto liquidare in complessivi cure 8.200,00 (ottomiliaduecento), di cui euro 8000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in euro ……..,00 (………), di cui euro …….,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

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