Tribunale di Torre Annunziata, 20 febbraio 2002, Sentenza, Pres. F. Paolo Amura, Rel. Massimo Palescandolo, Nell'azione di responsabilità nei confronti di un amministratore ex art.146 L.F., questi risponde dell'intera differenza tra il passivo e l'attivo, in caso di mancato deposito delle scritture contabili obbligatorie.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI Torre A.
II SEZ. CIV.

nelle persone dei magistrati:
dott. Francesco Paolo Amura Presidente
dott. Maurizio Atzori Giudice
dott. Massimo Palescandolo Giudice-est.

riunito in camera di consiglio ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n.1569 del ruolo generale degli affari contenziosi civili per l'anno 1999 avente ad
OGGETTO: azione di responsabilità ex art. 146 co. 2 LF.
TRA
CURATORE del fallimento Icotess s.r.l., in persona del dr. Ferdinando Vitiello, elett.te dom.to in Pompei, alla Via Roma n.29, presso lo studio dell'avv. Claudio D'Alessio che lo rappresenta e difende giusta procura a margine dell'atto di citazione.
Attore
E
Avino Antonio, residente in Boscoreale, alla via Barone di Massa n.29
Convenuto-Contumace
Conclusioni- Per l'attore: accogliersi la domanda e condannare il convenuto a corrispondere alla curatela la somma di euro 256.767,42, pari a £.497.171.060#, con vittoria di spese, diritti ed onorario.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 27.9.1999 il curatore del fallimento Icotess s.r.l. chiamava a comparire innanzi a questo Tribunale Avino Antonio, esponendo quanto segue:
--in data 8.11.1994 con sentenza n.307 la soc. Icotess s.r.l. veniva dichiarata fallita da questo Tribunale;
--Avino Antonio, quale amministratore unico, non provvedeva a depositare presso la cancelleria fallimentare le scritture contabili obbligatorie, il bilancio e l'elenco dei creditori, benché più volte sollecitato dal curatore fallimentare a mezzo raccomandate a/r;
--interrogato in data 2.1.95, non denunciava l'esatto ammontare del passivo, stimandolo in lire duecento milioni, a fronte di una approvazione di £.497.671.060#, di cui £.34.815.410 in privilegio.
Tanto descritto, essendo tale comportamento in violazione degli obblighi di cui all'art.2392 c.c., oltre ad avere rilievo penale essendo imputato di bancarotta patrimoniale e documentale, chiedeva a questo giudice di accertare e dichiarare l'Avino responsabile dei fatti denunciati e di condannarlo al risarcimento dei danni, da quantificarsi in corso di causa.
Il convenuto non si costituiva.
L'istruttoria non contemplava alcunché, se non la mera produzione di documenti, allegati al fascicolo attoreo. Indi, precisate le conclusioni così come trascritte in epigrafe, la causa veniva, previa assegnazione del termine di rito per il deposito della conclusionale, riservata in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va dichiarata la contumacia dell'Avino, regolarmente citato e non comparso.
L'istanza attorea è fondata e meritevole d'accoglimento.
Si evidenzia, in linea di principio, che l'amministratore incorre in responsabilità verso la società ed è tenuto al risarcimento dei danni dalla stessa subiti, allorché non abbia ottemperato ai doveri impostigli dalla legge e dall'atto costitutivo con la diligenza del mandatario ossia, come si tende a riconoscere, con la diligenza professionale richiesta dall'incarico ricoperto (la responsabilità "de qua" ha natura contrattuale: cfr. in tal senso Cass. 9.7.1987, n.5989).
L'amministratore risponde, inoltre, verso i creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione del patrimonio della società. Nondimeno, l'azione può essere proposta solo quando il patrimonio risulti insufficiente al soddisfacimento delle ragioni dei creditori medesimi: evidentemente finché il patrimonio è capiente un danno è inconfigurabile (nettamente prioritaria è l'opinione secondo cui l'azione dei creditori ha natura extracontrattuale: cfr. in tal senso Cass. 22.10.1998, n.10488; Trib. Milano 6.2.1989, Giur. comm. 1989, II, 906).
Costituisce ius receptum l'affermazione giurisprudenziale secondo cui, per effetto del fallimento, l'azione sociale di responsabilità, di cui agli artt. 2392-2393 c.c., e l'azione dei creditori sociali, di cui all'art.2394 c.c., confluiscono nell'azione di cui all'art.146 co.2 LF, avente a titolare il curatore ed a carattere unitario ed inscindibile (cfr., in merito all'unitarietà ed inscindibilità dell'azione, Cass. 22.10.1998, n.10488; Cass. 28.2.1998, n.2251; Cass. 10.6.1981 n.3755)
La natura inscindibile ed unitaria comporta che l'azione prevista all'art.146 co.2 LF, cumulando necessariamente ambedue le forme di tutela giurisdizionale, può essere esercitata tanto con riferimento ai presupposti dell'azione sociale di responsabilità, quanto con riferimento a quelli dell'azione dei creditori sociali: allorquando il curatore provvede ad esperirla, la responsabilità degli amministratori può essere affermata tanto in rapporto ai presupposti dell'azione di cui agli artt.2392-93 c.c., quanto in rapporto ai presupposti dell'azione dei creditori sociali (cfr. in tal senso Cass. 22.10.1998, n.10488; Cass. 10.6.1981, n.3755).
Siffatta peculiarità -siccome riconosce la Suprema Corte- "si risolve in un risultato pratico di evidente vantaggio per il curatore, il quale potrà impostare la domanda in funzione di profili di opportunità per avvalersi a seconda dei casi della disciplina applicabile alla responsabilità contrattuale o di quella applicabile alla responsabilità extracontrattuale" (così Cass. 28.10.98, n.10488) e non implica al contempo "che la curatela…debba soggiacere a quanto di meno favorevole possa comportare astrattamente il ricorso all'azione di danni di cui all'art. 2394 codice civile…" (sempre Cass. 28.10.98, n. 10488).
All'uopo è opportunamente a precisarsi che la cumulativa ed inscindibile proposizione delle azioni senza dubbio non esonera il curatore dall'onere della prova della colpa, allorché i fatti di mala gestio dedotti, in rapporto al tipo di pregiudizio al cui ristoro si ambisce, rilevino alla stregua dell'art.2394 c.c.. Viceversa, allorquando la pretesa risarcitoria venga esperita con riferimento agli artt. 2392-93 c.c., la natura contrattuale di siffatta azione solleva il curatore dalla dimostrazione del dolo o della colpa degli amministratori, operando a pieno titolo la previsione dell'art. 1218 c.c..
A fondare la responsabilità dell'organo gestorio, inoltre, occorre imprescindibilmente che si dia prova -da parte del curatore- del nesso di causalità tra gli atti di mala gestio ed il pregiudizio lamentato ossia che il danno ovvero l'insufficienza del patrimonio sociale siano da ricondurre eziologicamente agli atti dolosi o colposi ascritti all'organo gestorio: gli amministratori, invero, rispondono del pregiudizio sol nella misura in cui sia ad essi causalmente ascrivibile (cfr. in proposito Cass.22.10.98, n.10488, ove è affermata l'esigenza di una rigorosa verifica della sussistenza di un rapporto di consequenzialità causale tra la condotta illecita ed il danno: "il rispetto di tale esigenza -si legge nella citata pronuncia- si risolve nella riaffermazione del principio che agli amministratori deve essere accollato il risarcimento dei danni che si pongano quale conseguenza immediata e diretta delle commesse violazioni e nella misura equivalente al detrimento patrimoniale che non si sarebbe verificato se la condotta illecita degli amministratori non fosse stata attuata"; altresì, in tal senso, Trib. Torino 12.1.99, Il Fall. 1999, 1079; Trib. Milano 18.5.95, Le Società 1995, 1597; Trib. Milano 14.11.93, Il Fall. 1994, 1051; Trib. Milano 24.5.93, Foro it. Rep., voce Fallimento, n. 651; Trib. Pavia 12.7.89, Giur. merito, 1990, 505).
In questi termini può reputarsi oramai consolidato il processo di sostanziale rimeditazione di quell'atteggiamento, in passato ricorrente, che identificava tout court il pregiudizio risarcibile con la differenza tra l'attivo ed il passivo fallimentare (cfr. in proposito, tra le altre, Trib. Milano 28.3.83, Le Società 1983, 1022; Trib. Catania 30.8.86, Giur. comm., 1988, II, 288; Trib. Roma 5.12.86, Il Fall. 1987, 854; Trib. Como 25.8.87, Le Società 1987, 1179; Trib. Venezia 5.11.87, Il Fall. 1988, 1202).
Il nuovo corso appare, in linea di principio, condivisibile, giacché il vecchio sistema onerava il curatore esclusivamente della prova di una o più violazioni di legge, sostanzialmente presumendo il nesso eziologico tra le medesime violazioni ed il deficit registrato in sede fallimentare ed accollando, quindi, all'organo gestorio anche quella porzione eventualmente determinatasi per caso fortuito o forza maggiore o, più semplicemente, per effetto di determinate vicende di mercato.
Ebbene -e spiegando in concreto quanto fin'ora argomentato- è a sottolinearsi subitaneamente che pur nel solco della condivisibile ricostruzione patrocinata dalla Suprema Corte con la statuizione del 22.10.98, n.10488, in precedenza citata, non è a nascondersi che in talune circostanze, in relazione a specifiche macroscopiche illegittimità dell'organo gestorio -è il caso dell'omessa o dell'irregolare tenuta della contabilità, tale, comunque, da precludere in via assoluta la ricostruzione delle vicende patrimoniali e finanziarie della società-, la ricerca rigorosa di un nesso di consequenzialità immediata e diretta tra le medesime violazioni ed il deficit fallimentare, onde individuare con esattezza il quantum del pregiudizio ascrivibile, può risultar vano esercizio o, più esattamente, può tradursi per il curatore in un onere probatorio di pressoché impossibile assolvimento e condurre, in tal guisa, ad aberranti esenzioni di responsabilità.
In ipotesi siffatte può correttamente presumersi, ex art. 2729 c.c., il nesso di causalità tra la macroscopica irregolarità all'uopo dedotta e l'intero disavanzo concorsuale, sicché sarà piuttosto l'organo gestorio ad esser gravato della dimostrazione del contrario ovvero dell'assenza o del minore ammontare, rispetto alla differenza tra attivo e passivo concorsuale, del pregiudizio scaturito (cfr. in tal senso App. Bologna 5.2.97, Foro it. 1997, I, 2284, ove, in motivazione, è espressamente richiamata Cass. 19.12.85, n.6493, che, relativamente ad un caso analogo, aveva confermato la decisione di merito che, a sua volta, aveva addossato all'amministratore l'intero disavanzo fallimentare. La corte bolognese ha avuto cura di precisare che "in tal modo non viene a determinarsi un'inversione dell'onere della prova rispetto ai dettami dell'art.2697 c.c., posto che il fallimento fornisce la prova, con lo strumento presuntivo, sia del contegno doloso o colposo ascrivibile agli amministratori, sia del nesso di causalità tra tale condotta ed il danno, sia dell'entità dello stesso, mentre i convenuti sono chiamati a contrastare tale prova con elementi, eventualmente anch'essi indiziari, di segno contrario").
Su tale scorta, l'addebito sostanziatosi nell'omesso deposito delle scritture contabili obbligatorie, del bilancio fallimentare e dell'elenco dei creditori (ne dà ragione la relazione ex art.33 LF indirizzata al g.d. al fallimento "de quo" ed allegata in copia al fascicolo dell'attore) può correttamente fondare l'affermazione di responsabilità.
In termini giuridici, infatti, il mancato deposito è equivalente alla mancata tenuta, in quanto si priva comunque il curatore -e gli organi fallimentari in generale- della possibilità di ricostruire le vicende del soggetto fallito.
Per altro verso, non è inopportuno sottolineare la peculiare valenza probatoria che connota le indagini e gli accertamenti compiuti dall'organo esecutivo della procedura.
Invero, merita senz'altro adesione l'indirizzo ricostruttivo che, in considerazione della veste di pubblico ufficiale ricoperta dal curatore, reputa che la relazione ex art.33 LF, giacché atto pubblico, faccia fede fino a querela di falso limitatamente alle indagini direttamente eseguite dal curatore medesimo ovvero con riferimento ai fatti da lui personalmente accertati.
Al di la di quest'ipotesi, cui senza dubbio può essere ricondotta la constatazione del mancato deposito di tutte le scritture contabili obbligatorie, è a reputarsi condivisibile, altresì, l'opinione -autorevolmente sostenuta in dottrina- alla cui stregua le informazioni raccolte (è l'esatta dizione rinvenibile nel testo dell'art.33 co.3 LF) dall'organo esecutivo del fallimento facciano prova fino a dimostrazione del contrario: siano assistite, cioè, da una presunzione iuris tantum, suscettibile di prova contraria (cfr. Cass. 29.1.73, n.267 e Cass. 26.3.75, n.1147; i giudizi e le opinioni espresse, invece, avrebbero, al più, valore di un parere qualificato).
Il postulato cui si è inteso pervenire, ovvero il riconoscimento in chiave presuntiva del nesso eziologico tra l'omessa tenuta delle scritture contabili ed il disavanzo registrato in sede fallimentare, impone di ritenere responsabile l'Avino, identificando il danno risarcibile con il passivo netto del fallimento, nell'oggettiva impossibilità di effettuare ulteriori accertamenti (S.C., 4-4-1998 n.3483, in Giur. It. 1999, 324).
D'altronde, questi nel rimanere contumace ha volutamente rinunciato a contrastare gli addebiti rivoltigli, come suo onere.
Corollario di quanto argomentato è la quantificazione del danno in capo al convenuto, dato dalla differenza tra l'attivo ed il passivo fallimentare, ossia a quanto è necessario per soddisfare i creditori insinuati, giacché l'azione del curatore è funzionale anche alla reintegrazione del depauperamento subito dalla società fallita per opera di chi l'ha gestita.
A fronte, quindi, di un passivo ammontante a £.497.671.060# e di un attivo per £.500.000# (cfr. sempre relazione del curatore), ne consegue che l'importo di £.497.171.060#, ovvero di euro 256.767,42, è quello che l'Avino deve corrispondere alla curatela.
Su detto importo competono alla curatela attrice gli interessi legali dal 27.9.1999 -dì della notifica- al soddisfo.
Le spese e competenze del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, vanno poste a carico del convenuto contumace rimasto soccombente.
P.Q.M.
Il tribunale definitivamente pronunciando sulla domanda proposta con atto di citazione in data 27-9-1999 dal curatore del fallimento de Icotess s.r.l. nei confronti di Avino Antonio, così provvede:
a) dichiara la responsabilità ex art.146 co. 2 LF del convenuto e, per l'effetto, lo condanna a pagare al curatore del fallimento la somma di euro 256.767,42, con interessi legali a far data dal 27.9.99 al soddisfo;
b) condanna il convenuto a pagare all'attore le spese e le competenze del presente giudizio che si liquidano in complessivi euro 3976,72, di cui euro 154,94 per spese, euro 1032,91 per diritti, euro 2788,87 per onorari, oltre IVA e c.p.a. come per legge.
Così deciso in Torre A. nella camera di consiglio della II sez. civ. del tribunale del 20.2.2002.

Il Presidente
dr. Francesco P. Amura

Il Giudice-estensore
Dr. Massimo Palescandolo

 

 











 

 

 


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