TRIBUNALE PADOVA 9 maggio 2001
Fallimento - Privilegio - Ammissione al passivo - Crediti delle cooperative agricole e dei loro consorzi - Privilegio ex art. 2751-bis c.c. - Criteri di attribuzione - Prevalenza dell'apporto dei beni conferiti dai soci sui beni acquistati da terzi - Provenienza dei beni dai soci - Necessità.


Condizioni per il riconoscimento del privilegio delle cooperative agricole e dei loro consorzi sono l'iscrizione al registro prefettizio, la prevalenza dell'apporto dei prodotti dei soci rispetto agli acquisti da terzi, prescindendo dal concorso di altri fattori di produzione (lavoro altrui, capitale), potendo anche mancare del tutto la partecipazione diretta dei soci all'attività lavorativa dell'ente, e l'appartenenza dei soci, in prevalenza, a categorie di soggetti che a loro volta godrebbero del privilegio, secondo i criteri di attribuzione propri di ciascuna categoria. È necessario altresì che i beni venduti, per il cui corrispettivio è chiesto il privilegio, siano stati conferiti dai soci.
(Dr. Raimondo Olmo)


REPUBBLICA ITALIANA

In nome del popolo italiano

TRIBUNALE DI PADOVA

in persona dei Magistrati:

dr. A. Della Rocca Presidente

dr. M. Farini Giudice

dr. G. Limitone Giudice rel.

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

nella causa civile di 1° grado iscritta a ruolo il 1°.4.1997 al n .1255/97 R.G., promossa con ricorso depositato il 28.2.1997 e notificato il 22.3.1997 da Aiut. Uff. Giud. del Tribunale di Padova

DA Cooperativa Produttori Mais San Martino scarl

- Opponente -

rappresentata e difesa come da mandato a margine del ricorso dall'avv. Antonio Cappellini di Rovigo e dall'avv. M. Nicoletta Alessi, con Studio e domicilio eletto in Padova, via Morgagni n.22

CONTRO Fallimento Agrinve srl, in persona del Curatore dr. Raniero Mazzucato

- Opposto -

rappresentato e difeso come da mandato a margine della comparsa di risposta dall'avv. Antonio Lovisetto, con Studio e domicilio eletto in Padova, C.so Garibaldi n.18

OGGETTO: opposizione allo stato passivo.

CONCLUSIONI

dell'opponente:

ammettere l'opponente al passivo privilegiato per la somma di L..31.013.095, con interessi di legge; vittoria di spese ;

dell'opposto:

preso atto delle risultanze istruttorie del presente giudizio, ammettere l'opponente al passivo per l'importo di L..28.608.095 oltre gli interessi maturati dal 23.2.1996 alla data del fallimento (19.7.1996), in via chirografaria; con vittoria di spese .

FATTO

Con ricorso depositato il 28.2.1997 e notificato il 22.3.1997, la Cooperativa Produttori Mais San Martino scarl proponeva opposizione al provvedimento di rigetto pronunciato dal Giudice delegato del Fallimento Agrinve srl in ordine alla domanda di insinuazione della stessa, relativa al credito per fornitura di mais, alle spese della fase monitoria ed al privilegio, richiesto ex art. 2751 bis n.5 bis cc; affermava che il credito era stato ingiunto con decreto del Pretore di Rovigo e che, quindi, le spettavano anche le spese della fase monitoria e, inoltre, di avere diritto al privilegio richiesto, in quanto società cooperativa agricola.

Si costituiva il Fallimento, chiedendo il rigetto in toto dell'opposizione perché infondata.

A seguito dell'istruttoria, tuttavia, preso atto delle risultanze della stessa, il Fallimento modificava le proprie conclusioni, chiedendo che il credito insinuato venisse ammesso nel minor importo di L..28.608.095, ferme restando l'esclusione del credito per la fase monitoria e del privilegio.

La causa era istruita documentalmente e per testi, e, precisate le conclusioni il 9.6.2000, veniva in tale udienza rimessa al Collegio per la decisione, con termine fino al 23.9.2000 per il deposito delle comparse conclusionali e fino al 13.10.2000 per le repliche eventuali.

DIRITTO

Va subito sgombrato il campo da una prima questione introdotta dall'opponente nella comparsa conclusionale, inerente i limiti che sarebbero imposti al Tribunale dalla natura del giudizio di opposizione allo stato passivo, in relazione al contenuto del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo pendente alla data della dichiarazione di fallimento: afferma la Cooperativa che nella presente sede non potrebbe trovare ingresso la questione della spettanza del privilegio, poiché di questo non si era mai discusso in sede di opposizione a decreto ingiuntivo.

L'obiezione si spiega soltanto in termini di sovrapposizione di due situazioni processuali che non hanno invece nulla a che fare tra di loro.

L'opposizione a decreto ingiuntivo riguarda la pretesa che il singolo creditore fa valere nei confronti del proprio debitore.

Nel presente giudizio, invece, si discute di un credito, e della sua collocazione, rispetto alla massa dei creditori, cosicché mentre in questa sede ha senso parlare di privilegio, non ne aveva alcuno nella fase di cognizione postmonitoria.

In ogni caso, è pacifico che se il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo pende alla data del fallimento, il decreto ingiuntivo non è opponibile alla massa dei creditori, in quanto non è divenuto definitivo, e perciò, non solo non può costituire il fondamento per il riconoscimento del credito nel concorso (Cass. 23 luglio 1998 n.7221, Il fall. n.5/1999, 537), ma neppure possono essere accollati alla massa dei creditori i costi inerenti la fase dalla quale è sortito il provvedimento ad essa inopponibile.

La mancata riassunzione del giudizio interrotto a seguito del fallimento del debitore opponente, non comporta altro effetto che la definitività del decreto nei suoi confronti, che perciò potrà essere fatto valere solo dopo la chiusura del fallimento ed il ritorno in bonis del debitore opponente.

Nessun effetto invece nell'ambito del concorso, né sostanziale, né processuale.

Ne consegue la necessità che il creditore dimostri autonomamente in sede concorsuale il proprio credito, la qual cosa è avvenuta grazie alle produzioni documentali ed alle testimonianze rese nel presente giudizio.

Cosicché, il riconoscimento del credito che il fallimento ha fatto solo a seguito dell'espletata istruttoria non consente di configurare alcuna responsabilità dello stesso in ordine alle spese di causa, che si è resa necessaria proprio in ragione della lacunosa situazione probatoria inizialmente fatta valere dal creditore istante.

L'esclusione del credito per spese della fase monitoria importa la riduzione dell'ammissione alla somma indicata dal Fallimento nelle sue conclusioni (che corrisponde a quella domandata, al netto delle spese dell'ingiunzione e di quelle successive).

Rimane da trattare del privilegio spettante alle Cooperative agricole ai sensi dell'art.2751 bis n.5 bis cc.

E'irrilevante che di tale questione non si sia fatto cenno nel provvedimento di non ammissione, poiché esso non vincola in alcun modo il giudice dell'opposizione, che è un ordinario giudizio di cognizione in cui il creditore deve dare prova del suo diritto, senza che rilevino le ragioni del rigetto in sede di verifica (cfr. Cass. 15 agosto n.6963 n.1996, Il fall. n.5/1997, 468), le quali potrebbero, perciò, anche non essere state indicate dal Giudice delegato.

Deve essere chiarito che il creditore non ha diritto al privilegio spettante alle cooperative agricole e ai loro consorzi sol per il fatto dell'iscrizione all'albo prefettizio, dovendosi invece accertare in concreto la ricorrenza dei presupposti comuni a tutti i soggetti indicati dalla norma del codice civile e, in ogni caso, che i prodotti per la cui vendita esso chiede di essere preferito ad altri creditori siano stati conferiti dai propri soci, e non acquistati da terzi, e che i soci siano a loro volta qualificati ad avere il privilegio, se operanti individualmente.

Invero, in nessuno dei casi previsti dall'art. 2751 bis n.5 bis si può prescindere dalla ratio informativa del privilegio, che attiene alla tutela del lavoro, anche se attuato in forma cooperativa, e non della cooperazione snaturata (o semplicemente fraintesa) in attività commerciale o industriale.

La questione della spettanza del privilegio ai sensi dell'art.2751 bis n.5 bis deve essere risolta muovendo dalla genesi della postilla del n.5 bis al n.5 dell'art.2751 bis, introdotta dall'art.18 n.2 della legge 31 gennaio 1992 n.59, la cui ratio è chiaramente spiegata nella proposta di legge di iniziativa parlamentare del 2 luglio 1993 (al n. 2868/93 C), sfociata nella legge 18 gennaio 1994 n.44, la quale ha stabilito l'efficacia retroattiva della norma istitutiva del privilegio.

Quest'ultimo, spiega il Proponente, era stato introdotto esplicitamente poiché erano sorti dubbi interpretativi in ordine alla sua spettanza in base al n.5 dell'art.2751 bis, per il fatto che i soci delle cooperative agricole non prestavano alcuna attività lavorativa all'interno delle cooperative, come invece i soci delle cooperative di produzione e lavoro, limitandosi a conferire il prodotto da trasformare, concludendo che "stante la manifesta inadeguatezza della interpretazione più restrittiva (..), la legge n.59 del 1992 ha opportunamente posto rimedio ad una situazione di grave ingiustizia e disparità che caratterizzava la situazione delle cooperative agricole rispetto a quelle di produzione, sul presupposto delle identiche motivazioni di tutela del lavoro svolto in forma di cooperativa (..)" (a chiaro testo non fare oscura glossa).

In altre parole, il Legislatore ha voluto chiarire expressis verbis ciò che doveva reputarsi implicito già nella lettura del n.5 dell'art.2751 bis, ponendo rimedio alla interpretazione fondata sul dato letterale che escludeva dal privilegio gli enti nei quali il socio non conferisse direttamente attività lavorativa.

Trattandosi di norma di chiarimento, quindi, non le si può attribuire l'effetto di stravolgere completamente il sistema dei privilegi previsti da quell'articolo riconoscendo la preferenza ad enti in cui la prestazione lavorativa dei soci non abbia alcuna rilevanza, neppure indiretta, cioè ad enti commerciali o industriali.

Ed invero, ciò che è rilevante nel fenomeno cooperativo può essere espresso con la massima l'unione fa la forza, nel senso che i soci ottengono, grazie all'unione delle loro energie economiche, migliori condizioni di mercato oppure occasioni di lavoro, eliminando l'intermediazione speculativa di terzi, e mirando a conseguire un profitto per effetto della diretta partecipazione all'attività della società, e non per effetto della ripartizione degli utili conseguiti aliunde da questa, come è nelle società lucrative.

D'altronde, la legge non preclude alle società cooperative - oltre alla gestione a favore dei soci - di svolgere pure attività produttive autonome nei confronti dei terzi, in tal caso però snaturandosi la finalità mutualistica, e operando la cooperativa in modo sostanzialmente non difforme da qualunque altra impresa collettiva.

Nel riconoscere la matrice interpretativa dal n.5 dell'art.2751 bis c.c. del suo n.5 bis, il Legislatore ha voluto che il privilegio ridondasse a favore dei soci delle cooperative agricole, attraverso l'attribuzione del medesimo a quegli enti (le stesse cooperative ed i loro consorzi) nei quali, in ultima analisi, finiva per confluire il risultato del loro lavoro, cioè i prodotti agricoli, con ciò superando i dubbi nascenti dal fatto che tali soci non conferivano direttamente il loro lavoro come nelle cooperative di cui al n.5.

In realtà, a ben guardare, anche nelle cooperative agricole è rilevante l'elemento del lavoro dei soci, poiché questi, pur non conferendo direttamente lavoro, conferiscono ciò che al lavoro è intimamente connesso, cioè il suo risultato.

In tal modo, può dirsi che il conferimento di lavoro è solo indiretto, ma ciò non elimina il dato di comunanza interpretativa tra il n.5 bis ed il n.5 dell'art.2751 bis c.c., sulla base del quale la stessa giurisprudenza (vedi Cass. 10 luglio 1998 n.6704, Il fall. n.6/1999, 599) che sembrerebbe non attribuire alcuna rilevanza all'elemento lavorativo in realtà afferma a chiare lettere che "Il Legislatore ha inteso accordare il privilegio generale e la relativa collocazione preferenziale anche a talune categorie di imprenditori, sia individuali sia collettivi (estesa anche ai consorzi) - la cui comune caratteristica è quella di produrre beni con il lavoro personale - prescindendo dalla considerazione che alla formazione del prezzo dei prodotti concorrono anche altri fattori della produzione, quali la terra, i macchinari, etc." e che il fine della norma è quello di "proteggere il lavoro prestato in organizzazioni mutualistiche" , cosicché può all'evidenza sostenersi che il rilievo che la Corte di Cassazione vuole dare alla norma è di tutela del lavoro indirettamente confluito nella cooperativa, anche se non caratterizzato dalla prestazione diretta del socio (e senza che rilevi il concorso di altri fattori di produzione), in armonia con la struttura ed i connotati propri del fenomeno cooperativistico, in cui il socio realizza il fine produttivo affidando alcune fasi del processo economico ad un organismo collettivo, formato da altri soggetti con le sue stesse caratteristiche.

Ciò che avviene, infatti, nelle cooperative agricole è che il socio conferisce beni perché essi siano trasformati (latte in formaggi, uva in vino, frutta in conserve) dall'ente collettivo, anziché provvedervi direttamente, con risparmio di spese ed incremento di utili.

La legge del 1992 ha voluto parificare in modo espresso il trattamento ai fini del privilegio dei crediti degli agricoltori singoli (i coltivatori diretti di cui al n.4) con i crediti di agricoltori riuniti in cooperative, essendo in dubbio che già rientrassero nel n.5 dell'art.2751 bis c.c., senza voler stravolgere la ratio della norma.

Il rilievo dato dagli interpreti alla (nuova?) tutela del fenomeno cooperativistico, infatti, non è per nulla incompatibile con l'oggetto di generale tutela della norma che è il lavoro, poiché anche nelle cooperative, come si è detto, deve essere significativa la prestazione del socio attraverso il conferimento del suo prodotto.

Tale interpretazione non solo sembra essere più coerente con tutto l'impianto dell'art.2751 bis c.c., ma anche con il sistema generale dei privilegi, non essendo altrimenti giustificabile il motivo della preferenza accordata a enormi enti commerciali o industriali a scapito dei piccoli commercianti ed altri produttori di beni o servizi (che non hanno alcun privilegio).

Ed invero non può certo farsi confusione tra il fenomeno cooperativistico, che implica l'apporto di lavoro o di risorse comunque provenienti dai soci e ridondanti a loro vantaggio, con l'apporto di beni o servizi per l'esercizio in comune di un'attività economica allo scopo di dividerne gli utili, la cui definizione è data dall'art.2247 c.c. al fenomeno societario non cooperativo, laddove nel primo caso i beni o le energie lavorative utilizzati nel processo produttivo provengono esclusivamente dai soci, che li offrono direttamente ai terzi per trarne maggior guadagno attraverso l'eliminazione del profitto dell'intermediario, mentre nel secondo caso i beni o i servizi utilizzati nel processo produttivo provengono normalmente dall'acquisto da terzi e sono destinati alla rivendita (previa la loro eventuale trasformazione).

Opinare diversamente significherebbe che in ogni riparto di procedura esecutiva verrebbero pagati con preferenza i crediti di enti commerciali o industriali, con il mero nomen della cooperativa, senza che nella sostanza vi sia nulla del fenomeno cooperativistico, a danno di altri creditori con non minori diritti.

Il riscontro positivo di ciò viene anche dalla giurisprudenza di legittimità, la quale, pur non ponendo nella dovuta evidenza che l'art.2751 bis n.5 bis c.c. non prescinde dalla tutela del lavoro, sia pure considerato in forma mediata, in ogni caso ritiene che la collocazione del privilegio de quo sia la stessa di quella dei nn.4 e 5 dell'art.2751 bis c.c., come stabilisce l'art.2777 co.2° lett. c) c.c., attesa l' "indiscutibile affinità tra le cooperative di produzione e lavoro e quelle agricole" (Cass. 10 luglio 1998 n.6704, cit.) con ciò riconoscendone l'identità di ratio , altrimenti avrebbe optato necessariamente per la posposizione del privilegio del n.5 bis rispetto agli altri, in ragione dell'ipotetica diversità di ratio : non ha senso, infatti, affermare che le due ipotesi sono affini ed hanno la stessa collocazione, se poi si prescinde nell'interpretarne una dal significato generale della norma in cui le due ipotesi sono contenute.

E ulteriori coerenti conferme vengono da tutte quelle pronunce che richiedono come elemento essenziale per il riconoscimento del privilegio la provenienza dai soci (e non da terzi) dei beni (eventualmente trasformati) dalla vendita dei quali è nato il credito (si veda Cass. 15 dicembre 1994 n.10741; Cass. 25 agosto 1998 n.8421; Cass. 27 novembre 1998 n.12054, Il fall. n.10/1999, 1107).

Da ultimo, la Cassazione si è pronunciata in un caso analogo al presente, affermando la necessità di "esaminare e accertare se il credito, in riferimento al quale si invoca il privilegio, sia conseguente alla vendita di prodotti che i consorzi abbiano ricevuto dalle cooperative agricole consorziate, per la loro commercializzazione, o che abbiano provveduto a trasformare" (Cass. 5 maggio 2000 n.5635, Guida al dir. n. 25/2000, 56), con ciò rimarcando, sia pure per implicito, che il fattore lavoro dei soci, anche se in concorso con altri fattori della produzione all'interno dell'ente cooperativo, è comunque indirettamente presente, e rilevante ai fini del privilegio.

La stessa sede sistematica del nuovo 5 bis, del resto, induce a ritenere che il Legislatore volesse principalmente tutelare ed incentivare il fenomeno cooperativo (quale espressione indiretta del lavoro dei singoli), piuttosto che rafforzare la tutela della prestazione lavorativa resa direttamente all'interno di fenomeni cooperativi.

In tale prospettiva diviene dunque irrilevante l'aspetto dimensionale della cooperativa, la quale può accogliere anche centinaia di agricoltori, così come risulta irrilevante il rapporto tra il lavoro prestato direttamente dai soci all'interno della cooperativa (che può anche mancare) e gli altri fattori della produzione (capitale e lavoro dipendente), purché la stessa cooperativa tratti in prevalenza i prodotti dei soci, eventualmente provvedendo anche alla loro trasformazione, attività che può ricondursi lato sensu a quella agricola, quale attività connessa, ai sensi dell'art.2135 co.2° c.c.

Infatti, anche sotto tale profilo risulta la giustificazione del privilegio per le sole e vere cooperative agricole e relativi consorzi, poiché l'attività di trasformazione non snatura la qualificazione di agricola dell'attività principale svolta dagli stessi agricoltori per il tramite della cooperativa, che altro non fa che realizzare (con minori costi e maggior guadagni) la stessa attività di trasformazione dei prodotti agricoli che avrebbe compiuto il socio da solo (in tal caso godendo del privilegio ai sensi dell'art.2751 bis n.4 c.c.), da cui la necessità che l'attività dell'ente associativo sia pur sempre collegata alla primaria attività dei produttori associati, secondo quanto dispone la norma di cui all'art.2135 co.2° c.c., ossia si tratti di attività agricola o ad essa connessa (cfr. Trib. Grosseto 18 settembre 1999, Il fall. n.1/2000, 113).

Proprio non si comprenderebbe, dunque, un privilegio concesso automaticamente a qualunque soggetto si fregiasse del nome della cooperativa agricola, senza però averne le caratteristiche sostanziali di unione di agricoltori con finalità mutualistica, ribadendo che quest'ultima non può essere riconosciuta in virtù del mero nomen .

D'altronde, lo stesso agricoltore individuale che privilegiasse nella propria attività d'impresa la compera per rivendere rispetto alla produzione di beni in proprio perderebbe le caratteristiche di agricoltore e diverrebbe imprenditore commerciale, con ogni conseguenza in ordine alla fallibilità ed al privilegio dei suoi crediti.

Perché ciò non debba valere anche per gli enti collettivi di agricoltori non si spiega.

Sotto altro profilo, esaminando il fenomeno nella sua sostanzialità, i soci agricoltori della cooperativa hanno uguale diritto di ottenere il privilegio rispetto agli agricoltori che operano individualmente, per il fatto che dalla vendita dei loro prodotti essi traggono il sostentamento, così come avviene per tutte le altre ipotesi di cui all'art.2751 bis, la cui ratio informatrice è quella di "accordare un trattamento preferenziale a diritti che hanno natura di retribuzione o di compenso di attività lavorative, in quanto frutto, almeno prevalente, di estrinsecazione, anche in forma organizzata, delle energie fisiche e/o intellettuali di una o più persone" (Cass. 12 maggio 1997 n.4108), finalità che è assolutamente compatibile, nei termini detti, con il fenomeno mutualistico (quello vero).

Laddove però i soci della cooperativa agricola traggano profitto di impresa commerciale o industriale dalla vendita o dalla trasformazione e vendita di beni acquistati da terzi, essi non hanno più alcun bisogno di essere preferiti ad altri creditori ugualmente commercianti o industriali, e non soffriranno certo del concorso con tali creditori chirografari, lasciando il privilegio a chi ne ha veramente bisogno.

In tal caso, non vi è più alcuna ragione della tutela legislativa offerta dall'art.2751 bis c.c., la cui applicazione a sproposito darebbe luogo a seri dubbi di incostituzionalità, in quanto la tutela del lavoro in forma cooperativa si attua solo attraverso la tutela del credito che sorge dai prodotti dei soci, altrimenti offrendosi tutela gratuita a società commerciali.

In definitiva, una cooperativa agricola che trasformi o venda beni dei soci ed anche acquisti beni di terzi per rivenderli, ma in misura non prevalente, avrebbe diritto al privilegio, però limitatamente al corrispettivo della vendita dei beni conferiti dai soci e da essa trasformati, o semplicemente venduti e non per la parte di profitto di pura impresa commerciale, tale essendo il disposto dell'art.2751 bis n.5 bis c.c..

L'aspetto dimensionale non rileva perché non è tutelata direttamente la cooperativa quale soggetto a sé stante (in tal caso, dovrebbe prevalere il fattore lavoro all'interno di essa), ma il lavoro (considerato in forma mediata) dei suoi soci, così anche indirettamente agevolandosi lo sviluppo del fenomeno cooperativo.

Si può, pertanto, affermare che, nel caso di specie, il conferimento dei prodotti dei soci identifichi e sostituisca l'apporto diretto di lavoro, con la necessità che si compia un giudizio di prevalenza del conferimento dei beni dei soci sugli acquisti da terzi, così come per l'artigiano e per il coltivatore diretto si valuta l'aspetto dimensionale per giudicare della prevalenza del lavoro, mentre il problema non si pone per agenti e professionisti intellettuali, per i quali è coessenziale la prevalenza del lavoro sugli altri fattori di produzione.

Deve, pertanto, concludersi che condizioni per il riconoscimento del privilegio delle cooperative agricole e dei loro consorzi, assolutamente assenti (o indimostrate) nel caso di specie, sono:

- l'iscrizione al registro prefettizio (senza la quale manca del tutto il requisito soggettivo);

- la prevalenza dell'apporto dei prodotti dei soci rispetto agli acquisti da terzi, prescindendo dal concorso di altri fattori di produzione (lavoro altrui, capitale), potendo anche mancare del tutto la partecipazione diretta dei soci all'attività lavorativa dell'ente;

- l'appartenenza della prevalenza dei soci della cooperativa o del consorzio a categorie di soggetti che a loro volta potrebbero godere del privilegio, secondo i canoni di attribuzione propri di ciascuna categoria (altrimenti si finirebbe per riconoscerlo anche a cooperative di commercianti o industriali, solo sulla carta agricoltori).

In presenza di tali requisiti, il privilegio spetta soltanto in relazione ai beni conferiti dai soci (e ceduti all'imprenditore poi fallito), solo così potendosi attuare in concreto la tutela del lavoro voluta dal Legislatore.

Nel caso in esame, confrontando (si vedano i dati riepilogativi di cui alla memoria di replica dell'opponente) il dato dei conferimenti dei soci (L..3.803.556.372), con quello degli acquisti da terzi (L..562.899.092 per cereali, e L..386.083.503 per altri prodotti), e con il volume di affari (4.804.596.882), risulta la netta prevalenza sull'attività commerciale di quella di trasformazione dei prodotti degli associati.

La Cooperativa, tuttavia, non ha dimostrato:

a) che i soci sono in prevalenza agricoltori, come tali aventi diritto al privilegio, poiché se fossero in prevalenza commercianti o industriali non si giustificherebbe alcun privilegio (si pensi ad un "agricoltore" che, invece di conferire alla Cooperativa prodotti propri, conferisca prodotti che egli abbia acquistato da terzi: che differenza vi sarebbe con l'attività commerciale? Quale norma attribuisce il privilegio alle cooperative di commercianti?) =" in tal modo non vi è prova del requisito soggettivo;

b) che i prodotti venduti alla Agrinve srl provenissero effettivamente dai soci della Cooperativa =" requisito oggettivo (l'affermazione in positivo della presenza di questo requisito è stata fatta soltanto in comparsa conclusionale, con la pronta contestazione del Fallimento in sede di replica), in ordine al quale il dubbio è legittimo, poiché la Cooperativa risulta acquistare cereali in proporzione consistente anche da terzi, oltre che riceverlo dai soci (cfr. i dati riepilogati nella memoria di replica della società).

Ne consegue il rigetto dell'opposizione nella parte relativa al mancato riconoscimento del privilegio.

Le spese seguono, per legge, la soccombenza, integralmente individuata nell'opponente.

P.Q.M.

Il Tribunale,

definitivamente pronunciando;

ogni contraria e diversa istanza rigettata;

ammette al passivo del Fallimento Agrinve srl il credito della Cooperativa Produttori Mais San Martino scarl, per la somma di L..28.608.095, in via chirografaria;

condanna la Cooperativa Produttori Mais San Martino scarl al pagamento delle spese processuali, che liquida in complessive L..7.880.500, di cui L..1.407.000 per spese in senso stretto, L..588.500 per spese generali, L..2.335.000 per diritti e L..3.550.000 per onorari, oltre iva e cpa.

Così deciso in Camera di consiglio il giorno 19.10.2000.

Il Giudice est.

Il Presidente

 












 

 

 


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