Corte di Cassazione, 10 maggio 2001 n. 181, S. U., Diritto del fallito alla conoscenza degli atti contenuti nel fascicolo fallimentare - limitazione

 

Fatto

Con separate istanze rivolte al giudice delegato dei fallimenti Eutochia s.r.l., Raffaello de Banfield Tripcovich, Trisea S.p.A. e Finarma S.p.A., e a quello del fallimento Tripcovich S.p.A., Raffaello de Banfield Tripcovich chiedeva, nella sua qualità di amministratore delle società fallite e fallito in proprio, di poter esaminare i fascicoli dei fallimenti suddetti nonché di estrarre eventualmente copia degli atti in essi contenuti al fine di produrre quanto necessario nelle altre sedi processuali nelle quali era coinvolto e, in particolare, nell'ambito dei procedimenti penali ove gli era stato contestato, fra l'altro, il reato di bancarotta fraudolenta.
Con provvedimenti del 4 e del 5 novembre 1997 i giudici delegati rigettavano le istanze.
Quindi, con decreto del 17 dicembre 1997, il Tribunale di Trieste dichiarava inammissibile il reclamo contro i due provvedimenti osservando che il reclamante non aveva depositato copia del provvedimento impugnato e che comunque il fallito aveva diritto ad esaminare solo gli atti compresi nel fascicolo fallimentare che fossero destinati alla pubblicazione e quelli per i quali potesse desumersi dalle norme della legge fallimentare un diritto perfetto del richiedente a prenderne visione (artt. 87, 95, 106, 116 l.fall.); per tutti gli altri atti privi di immediata rilevanza esterna il fallito aveva solo il diritto di chiedere al giudice delegato l'autorizzazione ad esaminarli indicando i singoli atti dei quali chiedeva l'esame e specificando altresì l'interesse che ne giustificava la consultazione, dal momento che il diritto di difese, malgrado la sua assolutezza, non poteva porsi in contrasto con il diritto alla riservatezza in ordine agli atti interni del fallimento.
Contro tale decreto ricorre per cassazione Raffaello de Banfield Tripcovich con quattro motivi.
Non hanno presentato difese i fallimenti intimati.
Con ordinanza del 22 settembre 1999-23 marzo 2000, n. 346, è stata disposta la rimessione degli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni unite in vista della particolare importanza della questione relativa all'applicabilità della disposizione di cui all'art. 347, co. 2° cod. proc. civ. nei procedimenti camerali in materia fallimentare e del potenziale contrasto ravvisabile tra la limitata tutela del diritto di difesa del fallito e il diritto di accesso ai documenti amministrativi introdotto dalla legge 7 agosto 1990, n. 241.

Diritto

Il ricorrente denuncia la nullità del provvedimento impugnato per illegittima composizione del collegio, presieduto dal magistrato che in qualità di giudice delegato aveva emesso il provvedimento reclamato, e la erronea applicazione della sanzione di improcedibilità per mancato deposito di copia del provvedimento impugnato; si duole della esclusione del diritto del fallito alla libera consultazione del fascicolo fallimentare e lamenta la violazione del suo diritto di difesa.
Prima di esaminare la fondatezza delle censure mosse contro il decreto del tribunale fallimentare debbono essere valutate la portata e gli effetti del decreto in contestazione nella sfera giuridica del ricorrente, onde accertare la ammissibilità del ricorso in esame, tenuto conto del fatto che i provvedimenti che non rivestono forma di sentenza sono ricorribili in cassazione per violazione di legge ai sensi dell'art. 111 Cost. solo quando essi incidano con effetti potenziali di giudicato su una posizione di diritto soggettivo che resterebbe definitivamente pregiudicata in assenza di tempestiva impugnazione. Ciò comporta la necessità di stabilire se il provvedimento in esame, negando l'esistenza di un incondizionato diritto di accesso agli atti contenuti nel fascicolo fallimentare, pregiudichi definitivamente l'interesse del fallito e comporti conseguentemente un'indebita compressione del suo diritto di difesa.
Vero è che la giurisprudenza di questa Corte appare implicitamente orientata verso la soluzione affermativa, in quanto, sin dalla pronuncia in data 25 luglio 1972, n. 2457, non sembra dubitare dell'esistenza di un diritto del fallito alla conoscenza degli atti contenuti nel fascicolo fallimentare ma, ribadita l'inapplicabilità alla procedura fallimentare della norma contenuta nell'art. 76 disp. att. cod. proc. civ. - che attribuisce alle parti o ai loro difensori muniti di procura il diritto di esaminare gli atti e i documenti inseriti nel fascicolo d'ufficio nel procedimento di cognizione ordinaria - afferma concordemente che le esigenze di riservatezza che sono proprie della procedura concorsuale portano ad escludere che nei confronti dei soggetti comunque coinvolti nella procedura possa riconoscersi il diritto alla libera consultazione del fascicolo fallimentare e attribuisce loro solo un limitato diritto di informazione, subordinato alla presentazione di una specifica motivata istanza che consenta non solo l'identificazione degli atti che si intendono visionare ma anche la valutazione del concreto interesse che ne giustifica la consultazione, e riconosce al giudice delegato il potere discrezionale di autorizzare o meno il richiesto esame.
Ma va considerato che il provvedimento il quale respinge la domanda dell'istante per difetto di motivazione o - come nella specie si verifica - perché sorretta da una motivazione generica, non incide in via definitiva sull'esercizio del diritto all'accesso, non potendo escludersi che l'interessato riproponga la sua domanda con più precisa e adeguata motivazione. Né infine può escludersi la riproponibilità della domanda anche nel caso in cui il giudice delegato abbia respinto la richiesta di esame di un particolare documento ben individuato, allorquando quelle esigenze di riservatezza siano venute meno e non impediscano più l'accoglimento della medesima domanda, alla quale non è opponibile alcuna preclusione da giudicato.
L'insussistenza del requisito della decisorietà nel decreto impugnato esclude quindi ogni interesse del ricorrente a dolersi della pronuncia di inammissibilità del reclamo a causa del mancato deposito della copia del provvedimento impugnato, trattandosi di statuizione priva di autonoma valenza decisoria (Cass. 21 giugno 1999, n. 6241) in quanto l'ordinamento non tutela il diritto alla mera regolarità formale del procedimento, quando non si deduca cioè che la denunciata violazione di norme processuali abbia comportato la lesione di un diritto soggettivo di natura sostanziale.
In conclusione, perciò, il ricorso dev'essere dichiarato inammissibile.
La mancata partecipazione al giudizio degli intimati fallimenti preclude qualsiasi pronuncia sulle spese giudiziali.

P.Q.M.

La Corte, pronunciando a sezioni unite, dichiara inammissibile il ricorso.



Sentenza segnalata dal Dr. Esposito in Roma.













 

 

 


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