Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Sezione Fallimentare, ordinanza del 20 aprile 2001, sulla richiesta di sospensione ex art. 2378, comma quarto, c.c. di delibera assembleare di nomina di amministratori di società di capitali, adottata in presenza di sequestro preventivo delle quote sociali (e con il voto determinante del custode nominato in sede penale) e sulle modalità attuative e sugli effetti di tale ultimo provvedimento


La massima
La richiesta di sospensione ex art. 2378 c.c. della delibera di assemblea di società di capitali ha carattere non decisorio e natura cautelare inibitoria ed al relativo procedimento è applicabile la disciplina di cui agli artt. 669 bis e ss c.p.c.
Anche in caso di sequestro preventivo delle quote societarie ex art. 321 c.p.p. la legittimazione ad impugnare la delibera assembleare con l’azione di nullità ex art. 2379 c.c. – sul presupposto della non spettanza del diritto di voto al custode nominato in sede penale – è riconosciuta ai soci così come a chiunque altro vi abbia interesse (ex art. 1421 c.c.) ed anche rispetto a tale azione è configurabile l’esigenza cautelare di sospensione.
Deve astrattamente ritenersi ammissibile, ai sensi dell’art. 2378, 4° comma, c.c., il provvedimento di sospensione della delibera di nomina degli amministratori di società di capitali, nonostante si tratti di delibera self-executing, non necessitando di una particolare attività esecutiva da parte del consiglio di amministrazione, né implicando il compimento di alcuna operazione volta ad integrarne l’efficacia.
L’oggetto di un decreto di sequestro preventivo, il cui dispositivo faccia riferimento alla denominazione della società e all’intero capitale sociale, è costituito (anche) dalle quote di partecipazione al capitale sociale.
Per l’attuazione del sequestro preventivo di quote sociali, finalizzato ad assicurare non tanto lo spossessamento quanto invece l’indisponibilità del bene, esclusi il pignoramento mobiliare presso il debitore e l’esecuzione per consegna o rilascio, che presuppongono l’esistenza di una cosa materiale da apprendere, ed escluso il pignoramento immobiliare, tra le modalità esecutive che raggiungono, comunque, la finalità di rendere indisponibile il bene sequestrato si inserisce anche l’annotazione del provvedimento di sequestro sul libro dei soci.
In caso di sequestro preventivo delle quote o delle azioni sociali la partecipazione alle assemblee ed il diritto di voto (anche in ordine all’eventuale nomina e revoca degli amministratori) spettano al custode designato in sede penale, la cui designazione, unitamente al decreto di sequestro preventivo, risultano annotati dall’ufficiale giudiziario nel libro soci.
Il giudice civile è libero di interpretare il decreto con cui il giudice penale sottopone a sequestro le quote sociali, perché il decreto in parola si pone quale antecedente logico-giuridico della decisione richiestagli, ma, una volta ravvisata eventualmente l’illegittimità del provvedimento penale venuto sia pure in via incidentale al suo esame, non può, salvo il caso dell’inesistenza materiale, "disapplicarlo" (non avendogliene alcuna norma attribuito il potere), se non nei limiti (e nella misura) in cui gli stessi interessati abbiano azionato (utilmente) le procedure previste dalla legge per la rimozione degli effetti di un illegittimo decreto di sequestro preventivo (a cura di Luciano Ciafardini).

L’ordinanza
TRIBUNALE DI S. MARIA CAPUA VETERE
- Sezione fallimentare -
N. 2113/2000/S R.G.
IL GIUDICE DESIGNATO ed ISTRUTTORE
dott. Stanislao De Matteis,
letto il ricorso ex art. 2378, 4° comma, c.c., depositato in cancelleria il 30/12/2000, con il quale Passarelli Gianluca, Passarelli Biagio, Passarelli Davide e Passarelli Franco, nella veste di soci della I.P.A.M. S.r.l. (rapp.ti e difesi dall’avv.to Domenico Stanga), chiedono la sospensione della delibera assembleare della I.P.A.M. S.r.l. assunta in data 22/11/2000;
lette le comparse di risposta depositate il 9/2/2000 dalla I.P.A.M. S.r.l. (rapp.ta e difesa dall’avv.to Faustino Manfredonia), dal custode giudiziario, avv.to Francesco Russo, (rapp.to e difeso dal prof. avv.to Amedeo Bassi) e dall’amministratore nominato con delibera del 22/11/2000, dott. Ulderico Catania, (rapp.to e difeso dall’avv.to Faustino Manfredonia), contenenti richieste di rigetto in rito e in merito dell’azionato ricorso cautelare;
esaminati gli atti e lette le memorie autorizzate depositate in date 20-27/02/2001;
udite le parti costituite e presenti;
letti gli artt. 669 bis e ss. c.p.c. e 2378 c.c.;
sciolta la riserva formulata all’udienza del 10/04/2001;

OSSERVA
1. Premesso che, ai sensi dell’art. 2378, 4° comma, c.c., "il presidente del tribunale o il giudice istruttore, sentiti gli amministratori e i sindaci, può sospendere, se ricorrono gravi motivi, su richiesta del socio opponente, l’esecuzione della deliberazione impugnata con decreto motivato da notificarsi agli amministratori", va innanzitutto chiarito che la richiesta di sospensione della delibera assembleare ha carattere non decisorio e natura cautelare (la natura cautelare dell’istituto è esplicitamente affermata nella Relazione Ministeriale al codice civile [n. 975]; per la giurisprudenza di legittimità, cfr. Cass. 6571/1986; per la giurisprudenza di merito, vedi, tra le tante, Tribunale S. Maria C.V. 23/03/1999, in Società, 1999, 1360, Tribunale Ravenna 12/1/1998, ivi, 1998, 468, Tribunale Milano 26/3/1997, in Giur. it., 1998, I, 2, 299, Tribunale Verona 30/6/1995, in Giur. mer., 1997, 548, Tribunale Napoli 23/6/1995, in Dir. giur., 1995, 436, Tribunale Milano 19/5/1993, in Giur. comm., 1993, II, 736, Tribunale Napoli 6/2/1990, in Dir. fall., 1990, 115, Tribunale Napoli 24/1/1989, in Società, 1989, 586, Tribunale Milano 21/6/1988, in Giur. comm., 1988, II, 904, Tribunale Genova 19/1/1988, in Società, 1988, 273).
Precisamente la natura del provvedimento è cautelare inibitoria, essendo diretto ad impedire che il diritto delle parti possa essere pregiudicato nelle more del giudizio ordinario (nello stesso senso, v. Tribunale Napoli 30/7/1994, in Giust. civ., 1995, I, 1678).
Il provvedimento sulla sospensione di una delibera assembleare si inserisce, infatti, nel giudizio di impugnazione della delibera stessa, e, quindi, riveste funzione meramente cautelare, in quanto esso perderà efficacia con la emissione della sentenza che deciderà sull’impugnazione, dal momento che con tale emissione il diritto soggettivo rimarrà inciso soltanto dalla sentenza (cfr. Cass. 10172/1993, Cass. 12238/1992).

1.1. Accertata la natura cautelare del provvedimento ex art. 2378, 4° comma, c.c., va osservato che l’art. 669 quaterdecies c.p.c., quale norma di chiusura, prevede un generale ambito applicativo della nuova regolamentazione dei procedimenti cautelari, salvo il limite delle compatibilità, ai provvedimenti previsti nelle sezioni II, III, IV del capo III Titolo I Libro IV del c.p.c. nonché in quanto compatibili agli altri provvedimenti cautelari previsti dal c.c. e dalle leggi speciali. Intento del legislatore si appalesa la semplificazione dei riti, uniformando il procedimento cautelare mediante la realizzazione di un paradigma generale di riferimento.
Per quanto riguarda la richiesta di sospensione delle delibere assembleari, la dottrina, con motivazioni del tutto condivisibili, ritiene applicabile, fatta eccezione della possibilità di chiedere la misura ante causam (in giurisprudenza, v. Tribunale Napoli 4/2/1997, in Società, 1997, 1059; contra, sullo specifico punto, cfr. Tribunale Bologna 15/9/1992, in Giur. it., 1994, I, 2, 829; vedi pure Tribunale Salerno 18/1/1995 e 22/12/1994, in Giur. comm., 1995, II, 694, secondo cui, prima ancora dell’instaurazione del giudizio di merito, il socio escluso da una società cooperativa può richiedere un provvedimento cautelare di sospensione degli effetti della delibera di esclusione), la disciplina di cui agli artt. 669 bis e ss c.p.c..
Il provvedimento ex art. 2378 c.c., grazie all’estrema concisione del dato normativo, offre, infatti, minori problemi di compatibilità rispetto ad altre misure extravagantes.
In effetti la novella ha dato una procedura ad un istituto che ne era sostanzialmente privo. Ed allora va senz’altro affermata l’applicabilità della nuova disciplina al provvedimento cautelare di inibitoria in questione ex art 669 quaterdecies c.p.c. (cfr., nello stesso senso, Tribunale S. Maria C.V. 5/11/1996, in Società, 1997, 558, Tribunale Reggio Calabria 9/5/1994, in Foro it., 1994, I, 2524, Tribunale Lametia 12/6/1993, in Riv. dir. comm., 1994, II, 99, Tribunale Torino 18/1/1993, in Giur. it., 1993, I, 2, 140).

2. Passarelli Gianluca, Passarelli Biagio, Passarelli Davide e Passarelli Franco, con (separato) ricorso ex art. 2378, 4° comma, c.c. depositato in cancelleria il 30/12/2000, hanno chiesto che il presidente del tribunale o il giudice istruttore volesse(ro) sospendere il deliberato dell’assemblea dei soci della I.P.A.M. S.r.l. del 22/11/2000, nella parte in cui è stato nominato amministratore della società l’avv.to Francesco Russo.
Il Presidente con decreto del 10/01/2001, visto l’art. 669 ter c.p.c., ha designato per la trattazione il dott. S. De Matteis. Nello stesso giorno (10/01/2001) il dott. S. De Matteis è stato designato per la trattazione ed istruzione del giudizio di merito avente ad oggetto l’impugnativa della delibera assembleare, di cui, ex art. 2378, 4° comma, c.c., è stata richiesta la sospensione.
Ad avviso del giudicante, la domanda cautelare è stata ritualmente proposta al Presidente del tribunale, atteso che la stessa è stata depositata in data 30/12/2000 ovvero in un momento antecedente alla designazione (da parte del Presidente della 3° sezione civile) del giudice istruttore della causa di merito (avvenuta in data 10/1/2001) e della stessa assegnazione della causa alla 3° sezione civile (avvenuta in data 8/1/2001), designazione ed assegnazione avvenute, pertanto, entrambe successivamente alla data del deposito del ricorso cautelare, (data del deposito) coincidente, però, con quella della iscrizione a ruolo del giudizio di merito.
Non essendo, quindi, stato ancora nominato l’istruttore, la parte ricorrente, correttamente, ha rivolto l’istanza, giusto il disposto dell’art. 669 quater, 2° comma, c.p.c. (qui applicabile: vedi, supra, punto 1.1.), al Presidente del tribunale, il quale nel provvedere (in data 10/01/2001, senza indicazione di orario) ha designato per la trattazione del ricorso cautelare proprio il giudice indicato (in data 10/01/2001, senza indicazione di orario) per l’istruzione del giudizio di merito, il quale, conseguentemente, risulta ritualmente investito della domanda cautelare essendosi verificata la coincidenza tra il giudice designato ex art. 669 ter c.p.c. (richiamato dal 2° comma dell’art. 669 quater c.p.c.) ed il giudice istruttore "competente" ai sensi del 4° comma dell’art. 2378 c.c..

3. La I.P.A.M. S.r.l., nel costituirsi nel giudizio cautelare, ha eccepito il difetto di legittimazione e di interesse dei ricorrenti, essendo le quote tutte della I.P.A.M. S.r.l. sottoposte a sequestro preventivo.
L’eccezione, da qualificare più propriamente, di difetto di legittimazione ad agire (leggi, legitimatio ad causam) dev’essere correlata all’azione (concretamente) esercitata in sede di merito dai ricorrenti.
Invero, mentre l’azione di annullamento (art. 2377, 2° comma, c.c.) può essere esercitata dagli amministratori, dai sindaci e dai soci assenti o dissenzienti, e, nel caso di assemblee ordinarie, dai soci con diritto di voto limitato, l’azione di nullità può essere esercitata, ai sensi dell’art. 2379 c.c. (che richiama espressamente l’art. 1421 c.c.), da chiunque vi abbia interesse.
E bene, ritenuta l’esistenza del sequestro preventivo delle quote (vedi, infra, punto 7.1.3.3.), se i ricorrenti avessero esercitato l’azione di annullamento della delibera assembleare del 22/11/2000 si sarebbe potuto dubitare della loro legittimazione ad agire, ritenendo autorevole dottrina che la legittimazione ad impugnare ex art. 2377 c.c. appartenga al (solo) custode, cui spetti, come nella specie (vedi, infra, punto 7.1.3.4.), il diritto di voto. Volendo seguire, per ipotesi, tale opinione, il sequestro preventivo di tutte le quote avrebbe privato i soci di tutti i diritti ad esse relativi, sì che dovrebbe conseguentemente affermarsi il difetto di legittimazione attiva dei soci, spettante, per converso, al solo custode designato in sede penale.
La tesi appena indicata, però, non è l’unica sostenuta, ritenendo altra dottrina, altrettanto autorevole, che al socio possano essere sottratti soltanto i poteri che espresse norme di legge gli tolgono, fra cui non sarebbe ricompreso appunto, in caso di sequestro preventivo, il potere di impugnare le delibere assembleari che loro spetterebbe, secondo alcuni, esclusivamente, secondo altri, unitamente a quello del custode giudiziario.
Ciò posto, non può revocarsi in dubbio che i ricorrenti abbiano esercitato in sede di merito un’azione di nullità/inesistenza (cfr. petitum e causa petendi dell’atto di citazione), sì che la loro legittimazione attiva dev’essere vagliata con riferimento non all’art. 2377 c.c., bensì all’art. 2379 c.c..
Ne consegue che (i ricorrenti) devono ritenersi legittimati ad impugnare (vedi pure, infra, punto 7.1.1.1., in fine), come chiunque altro vi abbia interesse (art. 1421 c.c.), la delibera assembleare del 22/11/2000, avendo prospettato, non solo la loro qualità di soci, ma anche una precisa situazione giuridica suscettibile di essere pregiudicata dalla delibera asserita nulla/inesistente, la cui (eventuale) insussistenza in fatto dovrebbe impedire (almeno secondo la maggioranza degli interpreti; in giurisprudenza cfr. Cass. 1839/1986, Cass. 1699/1985, Tribunale Napoli 13/4/2000, in Società, 2000, 1114) soltanto l’accoglimento nel merito della domanda (altra parte della dottrina e della giurisprudenza [cfr. Appello Firenze 14/1/1965, in Foro it., 1965, I, 317, Tribunale Torino 20/12/1975, in Giur. comm., 1976, II, 194, nonché, sia pure in termini non del tutto chiari, Cass. 3881/1988] ritiene che il socio che agisce ai sensi dell’art. 2379 c.c. non sarebbe tenuto a provare l’interesse processuale ex art. 100 c.p.c., avendo un incontestabile interesse "a che le delibere della società siano conformi a legge e all’atto costitutivo").

4. Il dott. Ulderico Catania, nominato amministratore della I.P.A.M. S.r.l. con l’impugnata delibera del 22/11/2000 ed al quale è stato notificato sia l’atto di citazione per il merito sia il ricorso ex art. 2378 c.c., ha eccepito, in limine litis, il proprio difetto di legittimazione passiva.
E bene, assumendo la questione rilevanza soltanto ai fini della pronuncia in materia di spese giudiziali (da rimandare all’esito del giudizio di merito: vedi, infra, punto 8), va qui solo ricordato che gli unici precedenti editi (rinvenuti) negano che difetti l’integrità del contraddittorio in un procedimento di impugnazione di delibera assembleare nel quale non siano state citate le persone elette alle varie cariche sociali dalla delibera impugnata. La ragione addotta da Tribunale Perugia 28/2/1950 (in Foro it., 1951, I, 1447) risiede nel fatto che oggetto del giudizio di impugnazione sarebbe soltanto la delibera di nomina alle cariche sociali, che è riferibile esclusivamente alla società e non agli amministratori ed ai sindaci nominati con la delibera impugnata, i quali - come destinatari di un semplice "effetto" - sarebbero tutt’al più legittimati a sostenerne la validità in sede di intervento ad adiuvandum. La ragione addotta da Tribunale Palermo 6/6/1962 (in Giur. sic., 1962, 504) è che la delibera assembleare, in quanto atto imputabile unicamente alla società, è inidonea a costituire fonte di rapporti intersoggettivi fra quest’ultima ed altri soggetti, ivi compresi quelli preposti ad altri organi sociali, i quali, dunque, non essendo parte del rapporto sostanziale scaturente dalla delibera ma solamente destinatari di effetti riflessi della medesima, non potrebbero essere considerati litisconsorti necessari della società nel giudizio che quella delibera mira a rimuovere.
Secondo autorevole dottrina, invece, i principi vorrebbero che, nel caso in cui fosse impugnata la delibera di nomina ad una carica sociale, la domanda fosse proposta nei confronti non solo della società ma anche dell’amministratore o del sindaco interessato, in quanto il provvedimento che si invoca, essendo diretto a travolgere gli effetti giuridici della delibera, dovrebbe essere pronunciato, pena la sua inutilità, nei confronti di tutti coloro che di tali effetti sono i destinatari (arg. ex art. 102 c.p.c.).

5. Il custode giudiziario ha eccepito l’inammissibilità del ricorso, non essendo suscettibile di sospensione la delibera "la cui efficacia non richiede specifici atti per integrarne l’operatività", all’uopo richiamando il noto decreto del tribunale di Monza del 28/09/1981 (in Giur. comm., 1982, II, 333).
Pur non ignorando che il Tribunale di S. Maria C.V. ha in passato sostenuto che "le delibere……la cui efficacia non richiede specifici atti per integrarne l’operatività, o perché non eseguibili dal consiglio, o perché direttamente costitutive di situazioni giuridiche immediatamente operanti, o perché di fatto già eseguite al momento della richiesta di sospensione, non sono in quanto tali possibile oggetto del provvedimento sospensivo richiesto" (cfr. ordinanza del 5/11/1996, in Società 1997, 558, con cui, invero, il tribunale, dopo aver sostenuto, in via di principio, quanto riportato in corsivo, ha esaminato nel merito l’impugnata ordinanza, giungendo a ritenere inammissibile la richiesta sospensiva delle delibera negativa per carenza dell’interesse ad agire, non realizzando la minoranza con essa alcuna cautela), ritiene il giudicante ammissibile, ai sensi dell’art. 2378, 4° comma, c.c., il provvedimento di sospensione della delibera di nomina degli amministratori di società di capitali, benché non si dubiti che la delibera de qua (come quella di revoca) si collochi nella categoria delle delibere self-executing, non necessitando di una particolare attività esecutiva da parte del consiglio di amministrazione, né implicando il compimento di alcuna operazione volta ad integrarne l’efficacia.
La sospensione può, infatti, essere richiesta anche quando la deliberazione abbia già avuto parziale esecuzione, ma sia ancora destinata a produrre effetti sulla struttura della società e sulla sua organizzazione.
La natura cautelare del rimedio concesso dall’art. 2378 c.c. richiede che il provvedimento di sospensione possa essere pronunciato (anche) quando, pur senza necessità di ulteriori atti di esecuzione, la deliberazione risulti suscettibile di continuare a produrre la propria efficacia, perché, non essendovi distinzione sostanziale fra efficacia ed esecuzione, il solo limite logico-giuridico che può precludere la pronuncia della sospensione può essere costituito dalla circostanza che gli effetti della deliberazione si siano definitivamente realizzati ed esauriti.
Nella prospettiva indicata non si ritiene che una simile eventualità sia configurabile in ordine alla delibera di nomina degli amministratori di società di capitali; se è vero, infatti, che tale delibera riceve immediata esecuzione a seguito della contestuale accettazione della carica da parte degli interessati, è altrettanto certo che essa è destinata a produrre i propri effetti per l’intero periodo di durata dell’incarico conferito agli amministratori; ne consegue dunque che, sino a quando perdura l’efficacia della nomina, il provvedimento cautelare di sospensione previsto dall’art. 2378, 4° comma, c.c. è astrattamente ammissibile (cfr. Tribunale Bari 18/5/1999, in Giur. comm., 2000, II, 152, Tribunale Roma 27/01/1995, in Giur. merito, 1995, 691, Tribunale Napoli 13/01/1993, in Dir. fall., 1993, II, 572, Tribunale Piacenza 6/05/1989, in Società, 1989, 1167, Tribunale Napoli 24/01/1989, ivi, 586, Tribunale Milano 21/06/1988, in Giur. comm., 1988, II, 904, Tribunale Sulmona 17/07/1986, in Dir. fall., 1986, II, 727, Tribunale Chieti 23/10/1975, in Giur. comm., 1976, II, 359, Tribunale Avezzano 19/07/1974, ivi, 1976, II, 359, Tribunale Palermo 12/09/1961, in Giust. civ., 1961, I, 1891), e ciò senza tacere che, essendo le delibere di nomina quelle foriere di maggiori pericoli, proprio nei confronti delle stesse si giustificherebbe la previsione del provvedimento cautelare di sospensione.

6. Ancora in via preliminare, avendo dedotto la parte ricorrente la nullità/inesistenza del deliberato assembleare (cfr. petitum dell’atto di citazione) essendo stata la deliberazione del 22/11/2000 adottata con una maggioranza alla formazione della quale avrebbero preso parte soggetti privi del diritto di voto (cfr. pag. 4 dell’atto di citazione), va ribadito che la sospensione dell’esecuzione di una deliberazione assembleare di società di capitali è ammessa anche con riguardo alle azioni di nullità e/o inesistenza, non potendosi negare la configurabilità di siffatta esigenza cautelare anche nei casi, ben più gravi, nei quali sia dedotta la nullità e/o l’inesistenza del deliberato assembleare, anziché invocato il solo annullamento (cfr. Tribunale S. Maria C.V. 11/11/1999, in Società, 2001, 226, Tribunale S. Maria C.V. 23/03/1999, cit., Tribunale Verona 25/9/1995, in Società, 1996, 539, Tribunale Napoli 23/6/1995, in Foro it., 1995, I, 3324, Tribunale Roma 20/3/1995, in Dir. fall., 1995, II, 910, Pretura Verona 8/10/1992, in Società, 1993, 373).
Ciò premesso, per quanto qui interessa, sebbene la questione non abbia, per quanto esposto nei successivi punti, diretta incidenza nel giudizio ex art. 2378, 4° comma, c.c., occorre rammentare che:
· secondo alcuni la partecipazione al voto di soggetti non legittimati dia luogo a semplice annullabilità (in giurisprudenza, cfr. Cass. 938/1975);
· altri discorrono di nullità (in giurisprudenza, cfr. Tribunale Roma15/11/1975, in Giur. comm., 1977, II, 405);
· altri ancora discettano di inesistenza (in giurisprudenza, cfr. Cass. 45/1966).

7. Con decreto del 28/11/1995, il G.I.P. presso il tribunale di Napoli (letta la richiesta del p.m. di sequestro preventivo ai sensi dell’art. 321 c.p.p., in relazione all’art. 12 sexies d.l. 399/1994, conv. in l. 505/1994, avente ad oggetto i beni di Passarelli Dante) ha disposto il sequestro preventivo, tra gli altri beni, della "I.P.A.M. Industria Prodotti Alimentari ed Affini Merdionali S.r.l.", con capitale sociale di £. 650.000.000.
A fondamento del citato decreto di sequestro, il G.I.P., premesso che Passarelli Dante era indagato (allo stato) per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p., ha rilevato che la P.G., nello svolgimento delle indagini dirette all’acquisizione di elementi di responsabilità per il suddetto reato, aveva accertato la disponibilità da parte del prevenuto di beni immobili, di veicoli e di attività produttive di entità assolutamente incompatibile con la capacità di produzione di reddito da parte del Passarelli, senza che, dagli atti processuali, fosse emersa alcuna giustificazione in ordine alla loro legittima provenienza, ragion per cui i beni in questione (oltre ad agevolare la commissione di ulteriori reati e la protrazione delle conseguenze del delitto) rientravano nella previsione di cui all’art. 321, 2° comma, c.p.p., essendo per gli stessi prevista la confisca obbligatoria.
La corte di Assise di S. Maria C.V., II sezione, giudice procedente, in data 15/11/2000, nel disporre che il custode giudiziario, nel partecipare all’assemblea della I.P.A.M. S.r.l., si attenesse alle direttive esplicitate, ha "……preliminarmente specificato che, per quanto riguarda le due società in sequestro……, risulta sottoposto al vincolo di indisponibilità l’intero capitale sociale (e dunque lo stesso patrimonio sociale, secondo l’interpretazione fornita da questa Corte con provvedimento del 14.2.2000, già portato a conoscenza dei custodi giudiziari), essendo stata ritenuta, in sede di emissione del decreto di sequestro, la riconducibilità all’imputato Passarelli Dante di entrambe le compagini societarie nella loro interezza. Ciò comporta, in tutta evidenza che:……i custodi giudiziari sono chiamati……ad esercitare, in costanza di sequestro, tutti i diritti relativi alle quote sociali…………" (pag. 1).
Con istanza del 24/11/2000, il difensore di Passarelli Dante, imputato nel processo "Spartacus I", nel chiedere la revoca delle decisioni adottate nell’assemblea dei soci del 22/11/2000, eccepiva, tra le altre cose, che il decreto di sequestro del 28/11/1995 "non colpisce le quote sociali e tanto meno si riferisce a quote intestate a terzi" (pag. 1).
La corte di Assise di S. Maria C.V., II sezione, con provvedimento del 5/12/2000, reso in risposta all’istanza del 24/11/2000, scriveva che "…il necessario collegamento tra la motivazione dell’ordinanza personale e quella dell’ordinanza patrimoniale, conduce in modo del tutto inequivoco a ritenere che il GIP, nel sottoporre a sequestro i beni dell’imputato Passarelli Dante, ha operato una legittima presunzione di disponibilità in capo all’imputato delle intere compagini societarie assoggettate al provvedimento di sequestro……Il dispositivo del provvedimento di sequestro, infatti, fa riferimento alla denominazione delle compagini societarie ed all’intero capitale sociale delle due società. Non può pertanto nutrirsi dubbio alcuno circa il fatto che già della emissione di tale provvedimento….sono in sequestro tutte le quote sociali (a chiunque intestate) che compongono il capitale sociale….." (pagg. 2 e 3).
Sulla base di queste premesse, il custode giudiziario, con provvedimento del 15/11/2000, è stato incaricato, in vista della convocazione dell’assemblea della I.P.A.M. S.r.l. per il giorno 9-16/11/2000 (aggiornata poi, per l’ora tarda, al 22/11/2000), di provvedere, quanto al 3° punto all’ordine del giorno (nomina del nuovo organo amministrativo), alla nomina, in sostituzione di Passarelli Gianluca, del dott. Ulderico Catania. Durante l’assemblea del 22/11/2000, l’avv.to Francesco Russo, nella qualità di custode giudiziario, "delibera e nomina amministratore unico della società, in sostituzione del sig. Passarelli Gianluca, il dott. Ulderico Catania".
Con atto di citazione del 21/12/2000, notificato il 22-27/12/2000 ed iscritto a ruolo il 30/12/2000, Passarelli Gianluca, Biagio, Davide e Franco hanno impugnato, ai sensi dell’art. 2378 c.c., la delibera adottata in data 22/11/2000 dall’assemblea dei soci della I.P.A.M. S.r.l.. Con ricorso ex art. 2378, 4° comma, c.c. del 29/12/2000, depositato in cancelleria il 30/12/2000, hanno chiesto, ricorrendone gravi motivi, la sospensione del deliberato assembleare (del 22/11/2000).
Gli attori, odierni ricorrenti, a fondamento delle loro doglianze, premessa l’illegittimità, di ordine penalistico, "di un sequestro che colpisca beni di soggetti non indagati, estranei al reato, potendo il sequestro cadere sui soli beni appartenenti agli indagati" (pag. 2 del ricorso ex art. 2378, 4° comma, c.c.), rilevano che, essendo la società a r.l. (non un bene, ma) una persona giuridica come tale non soggetta a sequestro, il sequestro disposto in data 28/11/2000 "si ribadisce di beni non appartenenti alla persona indagata,…..ha colpito, tutt’al più, i beni della società ma non le quote sociali", non identificandosi il patrimonio aziendale con le quote sociali (pag. 2 del ricorso ex art. 2378, 4° comma, c.c.). Ne deriverebbe, a dire dei ricorrenti, l’inesistenza, per il custode giudiziario, della titolarità del diritto di voto in assemblea e, quindi, l’inesistenza del deliberato del 22/11/2000, avendovi concorso "persone prive del diritto di voto" (pag. 4 dell’atto di citazione).
Tra le righe di un decreto di sequestro, estremamente conciso e laconico, la difesa dei ricorrenti sembra sostenere, quindi, che, al più, l’effetto unico del disposto sequestro consiste in un vincolo di indisponibilità della cosa, di carattere materiale e non giuridico, che non pregiudica l’esercizio dei diritti civili in essa eventualmente incorporati, con l’ulteriore rilevante conseguenza che al custode sarebbero riservati poteri di mera custodia materiale, senza facoltà di amministrazione, conservata dal proprietario.

7.1. Ricostruita (brevemente) la vicenda che ha originato la controversia de qua, ritiene il giudicante che il punto di partenza (per sbrogliare l’intricata matassa) sia rappresentato dal decreto di sequestro preventivo emesso dal G.I.P. in data 28/11/1995.
Si tratta, cioè, di chiarire su "cosa" sia "caduta" (recte, abbia colpito) la misura cautelare in oggetto, essendo noto che:
· il sequestro preventivo si esegue mediante l’apprensione del bene sequestrato;
· la notifica del provvedimento è destinata solo a consentirne l’impugnazione, con la conseguenza che il ritardo della notifica ha solo l’effetto di ritardare la decorrenza del termine di impugnazione per l’interessato, senza dare luogo ad alcuna nullità perché non ne pregiudica l’intervento, l’assistenza o la rappresentanza (cfr. Cass. pen. 5002/1997, Cass pen. 1099/1996).

7.1.1. Preliminare all’identificazione dell’oggetto del sequestro è la chiarificazione dei concetti di società a responsabilità limitata, di quota sociale e di patrimonio sociale, la cui confusione sembra essere alla base della (delicata) vertenza in atto.
La società a r.l. (artt. 2472-2497 bis c.c.) è una società di capitali nella quale:
· per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio (art. 2472, 2° comma, c.c.);
· le quote di partecipazione dei soci non possono essere rappresentate da beni (art. 2472, 2° comma, c.c.).
Trattasi, in ogni caso, di un autonomo soggetto di diritto, distinto dai singoli soci, dotato di personalità giuridica (fonte di autonomia patrimoniale perfetta), di capacità giuridica e di capacità di agire sua propria, del tutto autonoma e distinta rispetto a quella degli individui che ad essa hanno dato vita. Si è in presenza, in altri termini, di un centro di imputazione autonoma di tutta una serie di effetti giuridici, che conseguono, da un lato, all’attribuzione di diritti e di doveri da parte dell’ordinamento giuridico e, dall’altro, all’esercizio di tali diritti in funzione strumentale al perseguimento dello scopo.
Ed allora, la proprietà ed il possesso dei beni costituenti l’azienda sociale fanno capo direttamente alla società, in quanto autonomo soggetto di diritto; quindi, la proprietà e la relazione di fatto con i beni aziendali non è imputabile (direttamente) ai singoli soci, ma alla società stessa. In altri termini, i beni conferiti in società non sono beni in comproprietà dei soci, ma costituiscono il patrimonio sociale, distinto da quello dei singoli soci conferenti.
Più precisamente, il patrimonio sociale è il complesso dei rapporti giuridici attivi e passivi che fanno capo al soggetto societario. Esso è inizialmente costituito dai conferimenti eseguiti (o promessi) dai soci; successivamente subisce continue variazioni qualitative e quantitative in relazione alle vicende economiche della società. La consistenza del patrimonio sociale (attività e passività) è accertata periodicamente attraverso la redazione annuale del bilancio di esercizio.
Diversa dalla nozione di patrimonio sociale è la nozione di capitale sociale (nominale), che altro non è se non un’entità numerica (id est, una cifra pattuita nell’atto costitutivo, che non deve essere inferiore a un ammontare minimo legale) che esprime il valore in danaro dei conferimenti quale risulta dalla valutazione compiuta nell’atto costitutivo della società. Non v’è, infatti, alcuna norma del codice civile che adotti o presupponga la nozione di capitale "reale", inteso come insieme dei beni conferiti dai soci, idonei alla garanzia dei creditori.
La quota della società a r.l., per converso, è stata definita da dottrina e giurisprudenza, di volta in volta, come un diritto di credito del socio verso la società, un diritto di partecipazione diverso sia dai diritti reali che dai diritti di credito, la posizione contrattuale del socio verso gli altri soci, un complesso di diritti sociali, un diritto alla qualità di socio, l’insieme di tutti i diversi diritti sociali che compongono la figura del socio.
Prevale ora la tendenza ad oggettivizzare la quota ed a ravvisare in essa un bene mobile immateriale equiparato, ex art. 812 c.c., ad un bene mobile materiale non iscritto in pubblico registro, perché senz’altro suscettibile di formare oggetto di diritti, secondo la definizione che dei beni in generale dà il precedente art. 810 c.c. (cfr. Cass. 6957/2000, Cass. 697/1997, Cass. 934/1997, Cass. 7409/1986). Non può seriamente dubitarsi, infatti, che alla quota facciano capo una serie di diritti (oltre che di obblighi) patrimoniali ed amministrativi, come, ad esempio, tra i primi, quello agli utili, alla quota di liquidazione, all’opzione, alla quota di rimborso in caso di capitale esuberante, alla preferenza nell’acquisto della quota del socio moroso, di recesso; tra i secondi, quello ad essere convocato nell’assemblea dei soci, di voto, alla convocazione dell’assemblea nei casi previsti dalla legge, al controllo dei libri sociali, sempre nei casi previsti dalla legge, all’impugnativa delle deliberazioni assembleari, di denunciare fatti censurabili al collegio sindacale, il diritto di ricorrere al tribunale in caso di gravi irregolarità nella gestione sociale; tutte cose in cui si compendia lo status di socio e che impediscono di considerare (riduttivamente) la quota come un puro e semplice diritto di credito.
Il diritto alla quota, quindi, ha natura obbligatoria, attiene alla posizione dei singoli soci e non ha ad oggetto una frazione ideale degli elementi attivi del patrimonio sociale, che, invece, appartengono soltanto alla società; per converso, la quota, se non può considerarsi un bene materiale al pari dell’azione, ha un valore patrimoniale oggettivo, che è dato dalla frazione del patrimonio che rappresenta (cfr. Cass. 6957/2000).
Ecco che, allora, deve essere recepita la soluzione interpretativa secondo cui le quote delle società a r.l. non rappresentano la quota del patrimonio comune conferito in società dai soci, ma, al contrario, la misura della partecipazione del socio a tutti i diritti e doveri di natura amministrativa e corporativa che caratterizzano lo status di soci.
Sulla base degli stessi argomenti, può, inoltre, dirsi che il trasferimento della partecipazione sociale ad opera del socio - poiché non implica il trapasso della proprietà (o di una quota indivisa) dei beni costituenti il patrimonio sociale, la cui titolarità permane in capo alla società, ma integra solamente l’attribuzione ad una diversa persona fisica della qualità di socio (con tutti i diritti e gli obblighi connessi) - costituisce un negozio a forma libera (cfr. Tribunale Bologna 30/1/1997, in Società 1997, 932), non richiedente la forma scritta ad substantiam, neppure quando il patrimonio sociale comprende beni immobili (nello stesso senso, anche se in una fattispecie riguardante una società di persone, v. Tribunale Vercelli, 4/7/1990, in Foro it., 1990, I, 3264), pienamente efficace inter partes indipendentemente dalla iscrizione nel libro dei soci (cfr. Tribunale S. Maria C.V. 1/7/1997, in Le Società, 1998, 313), la cui unica funzione, richiesta ad regularitatem, è quella di rendere efficace il trasferimento nei confronti della società (v. Cass. 697/1997, in linea con l’impostazione assunta da Cass. 7409/1986, Cass. 1355/1985, Cass. 3419/1981).
È, quindi, solo con l’iscrizione del trasferimento delle quote che il cessionario assume nei confronti della società tutti i diritti e i doveri inerenti alla qualità di socio (cfr. Tribunale S. Maria C.V. 1/7/1997, cit., Tribunale Piacenza 26/4/1994, in Società, 1994, 969, Trib. Torino 8/3/1979, in Giur. comm., 1980, II, 240, Cass. 328/1974).

7.1.1.1. Dall’applicazione di tali principi, la dottrina e la giurisprudenza (cfr. Tribunale Bologna 5/2/1992, in Società, 1992, 967, Tribunale Roma 2/4/1960, in Dir. fall., II, 388) ritengono che l’iscrizione di un trasferimento inesistente o invalido costituisca, a vantaggio del soggetto iscritto, l’apparenza di socio e la legittimazione al voto.
Questa è pure l’opinione evidenziata dalla difesa del custode giudiziario alle pagg. 5 e 6 delle note autorizzate depositate il 27/2/2001, laddove sostiene che "il libro soci della Ipam evidenzia un vincolo iscritto a carico di tutte le quote che compongono il capitale sociale. Tale titolo, ove fosse fondato su un titolo invalido creerebbe una "apparenza" vincolante……Tale vincolo inibisce il voto (e gli altri diritti sociali) ai fratelli Passarelli, ricorrenti. Tale vincolo iscritto abilita al voto e a tutti gli altri diritti sociali il Custode dei beni sequestrati avv. Francesco Russo. La deliberazione impugnata, di cui si chiede la sospensione, ha rispettato le risultanze del libro dei soci".
Stando a questo precipitato dottrinale e giurisprudenziale, quindi, secondo la difesa del custode potrebbe (recte, dovrebbe) essere inutile indagare l’oggetto del sequestro disposto in data 28/11/1995, essendo sufficiente l’iscrizione del vincolo d’indisponibilità nel libro dei soci a giustificare, in forza di una presunzione "vincolante" di titolarità e di legalità, il rigetto, prima facie, dell’invocata cautela.
Ma così non è. O almeno le cose non stanno in modo tale da rendere superflua ogni indagine sull’oggetto del decreto di sequestro preventivo del 28/11/1995.
Ed invero, l’illegittimità dell’iscrizione nel libro dei soci del trasferimento di quote sociali rende non riferibili alla società le deliberazioni assembleari adottate - come nella specie - con il voto unico e determinante di coloro che apparivano soci, con la conseguenza che le deliberazioni assembleari, in tal caso, dovrebbero qualificarsi inesistenti, piuttosto che nulle, per difetto di un elemento costitutivo della fattispecie procedimentale di formazione della volontà sociale (così, testualmente, Appello Bari 29/4/1989, in Società, 1165; vedi pure, supra, punto 6).
Secondo quest’ultimo indirizzo, quindi, non ci si potrebbe fermare all’iscrizione nel libro dei soci, dovendosi verificare la validità della delibera (contestata dai ricorrenti proprio sotto il profilo del difetto di legittimazione del custode al voto per inesistenza del vincolo d’indisponibilità sulle quote, inesistenza che di per sé renderebbe illegittima pure la successiva e conseguente iscrizione del vincolo nel libro dei soci) non solo con riguardo alla provenienza del voto da parte di un soggetto il cui nome è iscritto nel libro dei soci, ma anche con riferimento alla legittimità dell’iscrizione, che, nel nostro caso, passa attraverso la corretta individuazione dell’oggetto del sequestro preventivo del 28/11/1995.
Invero, il nome dei soci, i versamenti fatti sulle quote e le variazioni delle persone dei titolari del capitale sociale sono iscritti nel libro dei soci, ai sensi dell’art. 2490, 1° comma, n. 1, c.c..
Alle iscrizioni provvede l’organo amministrativo, dato che alla sua custodia il libro dei soci è affidato dall’art. 2490, 2° comma, c.c.; poiché l’iscrizione è un atto dell’amministratore nella sua qualità di organo della società, essa è compiuta sotto la sua responsabilità e la firma del medesimo è essenziale per ogni iscrizione. Le iscrizioni effettuate da altri soggetti (cfr. Appello Milano 29/11/1991, in Società, 1992, 944, secondo cui è inefficace l’iscrizione eseguita da un soggetto non incaricato dall’amministratore in carica) sono non tanto invalide, quanto inesistenti, come avviene per gli atti non negoziali, in cui la non conformità alla fattispecie ne impedisce lo stesso perfezionamento.
La società, in persona del suo organo amministrativo, ha l’obbligo di provvedere all’iscrizione del trasferimento della quota nel libro dei soci dopo la verifica formale dell’esistenza e della regolarità del negozio traslativo (sui limiti del sindacato della società richiesta dell’iscrizione, ancorato all’interesse di cui all’art. 1421 c.c., cfr. Tribunale Roma 8/7/1997, in Società, 1998, 77, Tribunale Napoli 4/6/1993, in Giur. comm., 1994, II, 705), avendo, di contro, l’acquirente un diritto soggettivo perfetto all’iscrizione del trasferimento. L’omissione illegittima dell’iscrizione è suscettibile di integrare il diritto del richiedente al risarcimento del danno patito in conseguenza dell’omissione. Al contrario, il socio non ha l’obbligo, né l’onere, né la facoltà di operare le iscrizioni nel libro dei soci (sull’assenza di ogni onere del socio, tanto che non può farsi valere l’omissione, cfr., in motivazione, Appello Torino 18/8/1993, in Giur. it., 1994, I, 2, 101).
Le iscrizioni nel libro dei soci hanno la funzione di attestare l’esistenza di un fatto di rilevanza giuridica, a vari effetti: per opporre lo stesso alla società (art. 2479 c.c.), ma anche per costituire uno strumento costante di informazione per i soci, di tutela della certezza nei rapporti giuridici e di prova nei confronti dei terzi.
Com’è noto, il diritto di consultare il libro dei soci appartiene ai soci, ma non ai terzi: peraltro, dopo la l. n. 310/93, l’iscrizione può avvenire solo dopo la conforme iscrizione nel registro delle imprese, che è pubblico (cfr. Tribunale Bologna 30/1/1997, in Vita not., 1997, 1514); inoltre, ogni anno gli amministratori devono depositare l’elenco dei soci esistenti al momento dell’approvazione del bilancio, ai sensi dell’art. 2493 c.c.
Le iscrizioni sul libro dei soci forniscono la prova della successione cronologica della titolarità delle partecipazioni sociali (cfr. Tribunale Ascoli Piceno 12/4/1994, in Società 1994, 1380, Tribunale Bologna 2/8/1993, in Giur. it., 1994, I, 2, 1044). La relazione al codice civile (n. 1012) ne parla come del "documento da cui possono desumersi con certezza gli attuali partecipanti alla società".
Il libro dei soci non è, però, una scrittura contabile, agli effetti degli artt. 2709 ss. c.c., perché non ha la funzione di documentare le risultanze contabili della società (v. Cass. 1762/1984) e perciò questa non può opporsi al diritto del socio di ottenerne copia integrale e non meri estratti, nonostante l’espressione usata dagli artt. 2422 e 2490, u. c., c.c.: non si applica l’art. 2711 c.c., la cui ratio è quella di salvaguardare la riservatezza dell’impresa, esigenza non tutelata in tema di composizione soggettiva del capitale sociale (cfr. Cass. 8332/1994).
Gli effetti dell’iscrizione sono, dunque, meramente ricognitivi e di documentazione di un fatto giuridico. Ma, se si considera la funzione dell’iscrizione di rendere opponibili alla società i trasferimenti (art. 2379, 2° comma, c.c.) può parlarsi di valore costitutivo dell’iscrizione con riguardo all’efficacia della cessione verso la società (è con tale significato che la giurisprudenza talvolta afferma il "carattere costitutivo" dell’annotazione nel libro dei soci del trasferimento: cfr. Tribunale Bologna 30/1/1997, cit.,): ferma restando l’attribuzione della titolarità della quota sulla base del negozio giuridico che ne ha disposto (cfr. art. 1376 c.c.).
L’efficacia dichiarativa dell’iscrizione conduce, pertanto, da un lato ad escludere ogni effetto costitutivo di situazioni giuridiche soggettive in capo ai soggetti, se non sussiste un negozio costitutivo che la preceda (cfr. Appello Catania 20/6/1990, in Dir. fall., 1990, II, 1113); dall’altro lato, consente di rettificare le iscrizioni errate, senza necessità di un atto negoziale (la rettifica ex art. 1430 c.c.) o di una sentenza (v. Tribunale Milano 2/10/1989, in Società, 1990, 50).
Tuttavia, l’iscrizione del nominativo di un soggetto come socio, sebbene difetti un negozio costitutivo valido, può creare l’apparenza della titolarità della quota e la legittimazione all’esercizio dei diritti sociali.
L’iscrizione integra, perciò, una presunzione di titolarità della quota, che può essere vinta con ogni mezzo di prova da parte dei soci, dei terzi e della stessa società, i quali intendano opporsi all’esercizio dei diritti da parte del titolare apparente: la realtà prevarrà così sull’apparenza, proprio come nel caso della iscrizione nel libro dei soci del sequestro delle quote in forza di un titolo, in realtà, diverso (cfr., pure, Appello Catania 20/6/1990, cit., secondo cui, nel caso di vendita di azioni, l’iscrizione nel libro dei soci non accompagnata dal possesso del titolo e dalla girata non attribuisce la qualità di socio verso la società, essendo l’iscrizione irregolare).
La società, quindi, può (recte, deve) dare la prevalenza, a tutti i fini, al fatto costitutivo, che sia accertato, rispetto alla mera apparenza delle iscrizioni nel libro dei soci: anzi, gli amministratori hanno l’obbligo sia di rettificare le iscrizioni erronee o false, sia di impedire al "non socio" l’esercizio del voto in assemblea, essendo altrimenti la deliberazione impugnabile, se presa con quel voto marginale (nel caso, quindi, di voto espresso dagli eredi veri del socio, non ancora iscritti nel libro dei soci, la mancanza di legittimazione formale non può essere addotta come causa di invalidità [cfr. Tribunale Napoli 3/6/1965, in Foro it., 1966, I, 376]; analogamente nel caso del voto espresso dal vero socio non ancora iscritto [cfr. Tribunale Milano 10/10/1966, in Mon. trib., 1966, 1144]).
D’altra parte, il difetto di legittimazione - nella specie, fatto valere anche in sede assembleare - può essere invocato anche dai soci in sede di impugnativa della delibera assembleare (in tal senso, Appello Torino 19/11/1964, in Dir. fall., 1965, II, 120, Tribunale Napoli 3/6/1965, in Foro pad., 1966, I, 382).
Occorre, pertanto, procedere oltre nella nostra indagine.

7.1.2. Dalla rilevata tendenza ad assimilare la quota ad un bene immateriale, tende a prevalere in giurisprudenza la tesi che ritiene ammissibile il sequestro giudiziario della quota di una società a r.l. (cfr. Cass. 6957/2000, Cass. 934/1997, Appello Milano 26/10/1979, in Giur. comm., 1981, II, 913; Tribunale Biella 6/3/1998, in Giur. mer., 1999, 242, Tribunale Piacenza 16/7/1993, in BBTC, 1994, II, 537, Tribunale Bologna 27/6/1994, in Dir. fall., 1996, II, 355, Tribunale Roma 31/1/1992, in Riv. dir. comm., 1992, II, 329).
Per quanto riguarda il sequestro preventivo della quota di una società a r.l. (art. 321 c.p.p.), la cassazione penale (sentt. 5115/1997, 5002/1997, 21/2/1993, sez. VI, Gentilini), ricorrendone i presupposti, lo ritiene senz’altro ammissibile, con riferimento:
· sia alle "cose pertinenti al reato" (art. 321, 1° comma, c.p.p.), la cui libera disponibilità possa aggravare e protrarre le conseguenze di esso, ovvero agevolare la consumazione di ulteriori reati;
· sia alle cose suscettibili di confisca a norma dell’art. 240 c.p. (art. 321, 2° comma, c.p.p.).
E’, altresì, ammissibile anche con riferimento a quelle quote, intestate a terzi (meri prestanomi), di cui, però, l’indagato risulti avere la (concreta e materiale) disponibilità (vedi, infra, art. 12 sexies d.l. 306/1992), risultando così superata (o confermata, a seconda dei punti di vista) la precedente opzione giurisprudenziale (cfr. Cass. pen. 21/2/1993, sez. VI, Gentilini, in motivazione), secondo cui le quote sociali sono confiscabili, nel caso di "appartenenza" a soci non indagati, nell’ipotesi in cui "l’intestazione delle quote ai medesimi debba ritenersi fittizia".
D’altro verso, i giudici penali ritengono pure ammissibile la confisca (e, quindi, il sequestro preventivo ex art. 321, 2° comma, c.p.p.) di beni (facenti parte del patrimonio sociale) appartenenti ad una società a r.l. (sfornita di capacità penale) ove questa sia stata (ampiamente) coinvolta dalla attività illecita dell’indagato (Cass. pen. 21/2/1993, sez. VI, Gentilini, Cass. pen., 8/7/1991 n. 3118, Soc. Capital fin. it. S.r.l., in C.E.D.; contra, Tribunale Napoli 12/10/1990, in Riv. pen. Economia, 1991, 129, secondo cui "nell’ordinamento giuridico italiano la società di capitale è soggetto giuridico autonomo rispetto alle persone fisiche che ne costituiscono gli organi e pertanto non acquista la qualità di indagato per reati commessi dalle persone, con la conseguenza che non può essere disposto il sequestro preventivo dei beni sociali"), richiedendo l’estraneità al reato che il soggetto, cui le cose appartengono, non abbia partecipato al reato - con attività di concorso o altrimenti connesse all’attività illecita - ovvero all’utilizzazione dei profitti che ne sono derivati (in tal senso, specificamente Cass. pen., sez. II, 18/11/1992, Tappinari).
In altri termini, il concetto di "appartenenza" di cui all’art. 240 c.p. ha una portata più ampia del diritto di proprietà (comprendendo in esso la titolarità di qualsiasi posizione giuridica che investa il contenuto economico del bene sottoposto a confisca: di recente, cfr. Cass. pen. SU 9/1999), essendo sufficiente che le cose da confiscare, di cui il reo ha la disponibilità, non appartengano a terzi estranei al reato, intendendosi per estraneo soltanto colui che in nessun modo partecipi alla commissione dello stesso o all’utilizzazione dei profitti che ne sono derivati.
Per tale via (o per altro verso), si ritiene ammissibile la confisca e, quindi, il sequestro del patrimonio sociale nell’ipotesi:
· del cd. socio tiranno (che dispone della società come cosa propria);
· della società di comodo (dove i sottoscrittori delle azioni o delle quote sono prestanomi dell’effettivo titolare);
· dell’unico quotista (trattasi delle cd. ipotesi di abuso della personalità giuridica);
· della società non operativa (che non è tale nemmeno nella sostanza organizzativa, in quanto mancante dell’elemento precipuo dell’esercizio in comune di un’attività economica, tanto meno organizzata in forma d’impresa) costituita al solo fine di creare un paravento, un intestatario fittizio di beni che vengono goduti di per sé, direttamente.
Ai sensi dell’art. 12 sexies d.l. 306/1992, richiamato nel decreto di sequestro preventivo del 28/11/1995, infatti, è sempre disposta la confisca (ed è quindi ammissibile il sequestro preventivo) del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica. Per tale via, quindi, è possibile il sequestro preventivo del patrimonio "sociale" di cui l’indagato, per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità.
È proprio l’art. 12 sexies, quindi, a consentire e giustificare (ricorrendo - come nella specie - i reati ivi indicati), anche mediante il superamento della personalità giuridica, la confisca (id est, il sequestro) di tutti quei "beni" dei quali l’indagato risulti avere la disponibilità (anche di fatto), anche se rientranti nella titolarità formale di altra persona, fisica o giuridica, senza per questo imporre la dimostrazione dell’intestazione fittizia, allo scopo non (ritenuta dal legislatore) necessaria (in tal senso sembra muoversi, anche nell’ipotesi del 2° comma dell’art. 321 c.p.p., Cass. pen. 13/5/1996 n. 1632 in C.E.D., secondo cui "il giudice, allorché un bene deve essere sottoposto a sequestro preventivo ai sensi del secondo comma dell’art. 321 c.p.p. in quanto confiscabile, non solo ha l’obbligo di preventivamente accertarne l’inerenza con il reato attribuito all’indagato, ma, nella ipotesi che la titolarità formale del medesimo non faccia capo al soggetto sottoposto all’indagine, deve accertare con rigoroso metodo probatorio che la titolarità formale è simulata ovvero che l’indagato si serva con piena disponibilità autonoma del bene oggetto del sequestro").
Né sembra potersi escludere il sequestro preventivo dell’intero patrimonio sociale (e, quindi, dei singoli beni che lo compongono), ai sensi dell’art. 321, 1° comma, c.p.p., nel caso in cui sia dimostrata l’illiceità dell’attività sociale nel suo complesso, sì da rendere l’azienda ad essa destinata cosa pertinente al reato, come può accadere quando tutte le quote fanno capo (sia pure per mezzo di prestanome) all’unico soggetto indagato (v., a contrario, Cass. pen. 5115/1997).
È pacifico, infatti, che il sequestro preventivo può avere ad oggetto anche beni che siano nella disponibilità di terzi non indagati, in quanto, in caso contrario, sarebbe precluso il soddisfacimento delle esigenze di prevenzione che impongono l’adozione della misura tutte le volte che un bene, in libera disponibilità di chicchessia e quindi anche di persona non indagata, sia suscettibile di costituire lo strumento per aggravare o protrarre le conseguenze del reato (cfr. Cass. pen. 4496/1999).
Diversamente, non può essere oggetto di sequestro preventivo il capitale sociale, (come prima) inteso nel senso di cifra che esprime il valore in danaro dei conferimenti dei soci. Il capitale sociale nominale, infatti, è un mero valore storico, che rimane immutato nel corso della vita della società, finquando, con modifica dell’atto costitutivo, non se ne decida l’aumento o la riduzione.
Parimenti, essendo il sequestro preventivo disciplinato tra le "misure cautelari reali" (capo II, del titolo II, del libro IV) e per quanto si possa estendere la nozione di "cosa pertinente al reato" e restringere quella di cosa appartenente "a persona estranea al reato" (art. 240, 3° comma, c.p.), sembra piuttosto chiaro (oltre che logico) che la società a r.l., autonomo soggetto di diritto rispetto ai soci, non possa costituire oggetto, in sé e per sé, di sequestro preventivo, potendosi, al più, configurare il sequestro del suo patrimonio sociale e/o delle quote (nello stesso senso, cfr. Tribunale S. Maria C.V. provvedimento del 26-29/5/1995, inedito, reso nel procedimento di prevenzione n. 39/93).

7.1.3. Chiariti i concetti e precisato "cosa" può essere (legittimamente) oggetto di sequestro preventivo, può essere ora affrontata, con maggiore consapevolezza, la delicata fattispecie sub iudice.
Si può, cioè, procedere ad accertare "cosa" abbia colpito (recte, quale sia l’oggetto del) la misura cautelare reale.

7.1.3.1. La tesi dei ricorrenti può essere così riassunta:
· il giudice può accertare, in via incidentale, le questioni di interpretazione di atti sottoposti al suo esame che si pongono come presupposto logico-giuridico per la decisione (pag. 5 delle note autorizzate depositate il 20/2/2001);
· la lettura del decreto di sequestro, offerta in via di interpretazione dalla Corte d’Assise, non è vincolante per il giudice civile chiamato a decidere della (in)validità del deliberato assembleare assunto con il voto determinante del custode giudiziario, (voto) indotto dalla interpretazione resa dalla Core d’Assise (pag. 5 delle note autorizzate depositate il 20/2/2001);
· il decreto del 28/11/1995, per come formulato, ordina il sequestro della I.P.A.M. S.r.l. (pag. 2 del ricorso ex art. 2378 c.c.);
· la società a r.l. è un autonomo soggetto di diritto, come tale non suscettibile di essere sottoposta (di per sé) a sequestro preventivo (pag. 2 del ricorso ex art. 2378 c.c.);
· il tenore letterale del decreto esclude che il sequestro abbia colpito le quote sociali (pag. 2 del ricorso ex art. 2378 c.c.);
· il decreto di sequestro, a tutto voler concedere, ha colpito il patrimonio aziendale, che non si identifica nelle quote sociali (pag. 2 del ricorso ex art. 2378 c.c.);
· il sequestro, ai fini della confisca, può avere ad oggetto le quote sociali soltanto nel caso in cui i soci titolari siano indagati (pag. 2 delle note autorizzate depositate il 20/2/2001);
· il custode giudiziario, non avendo colpito il sequestro preventivo le quote sociali, non è titolare del diritto di voto (pag. 1 del ricorso ex art. 2378 c.c.);
· la delibera assembleare del 21/11/2000, assunta con il voto determinante del custode giudiziario (non legittimato), è affetta da nullità/inesistenza (v. petitum dell’atto di citazione).

7.1.3.2. Dalla semplice lettura dei punti appena evidenziati, appare chiaro che il vero punctum dolens dell’intera vicenda sia costituito dal più volte ricordato decreto del 28/11/1995, con cui il G.I.P. presso il tribunale di Napoli ha disposto il sequestro preventivo, tra gli altri beni, della "I.P.A.M. Industria Prodotti Alimentari ed Affini Merdionali S.r.l.", con capitale sociale di £. 650.000.000.
Ad avviso del decidente le questione può essere posta nella seguente alternativa: o il G.I.P. ha posto sotto sequestro preventivo (anche) tutte le quote sociali della I.P.A.M. o non lo ha fatto.
Nel primo caso, i provvedimenti resi, via via, dalla Corte d’Assise si muoverebbero nell’ottica di una semplice e doverosa attuazione di quanto già contenuto nel decreto impositivo (è
questa la tesi sostenuta dal giudice procedente nei provvedimenti resi il 5/12/2000, nel quale si legge "non può pertanto nutrirsi dubbio alcuno circa il fatto che già dalla emissione di tale provvedimento …….sono in sequestro tutte le quote le sociali……" e il 15/11/2000, nel quale si legge "va preliminarmente specificato che……risulta sottoposto al vincolo di indisponibilità l’intero capitale sociale…….").
Nella seconda ipotesi, i suddetti provvedimenti (emessi dal giudice procedente, che pur ne avrebbe il potere ai sensi dell’art. 279 c.p.p.) avrebbero, ad integrazione del decreto del 28/11/1995, "creato" una nuova misura cautelare (nel senso di sottoporre a sequestro le quote sociali tutte della I.P.A.M. S.r.l.), senza apposita istanza del pubblico ministero, cui è riservata l’iniziativa (cfr. art. 321, 1° comma, c.p.p.; v. pure Cass. pen., S.U., 26/4/1990, Serio, secondo cui "il sequestro preventivo può essere disposto esclusivamente su richiesta del p.m."), con conseguente nullità dell’atto (o degli atti) ai sensi degli artt. 178, lett. b, e 180 c.p.p. (cfr. Cass. pen. 5/10/1994, sez. III, Cassigoli; è questa la tesi sostenuta dal difensore di Passarelli Dante, anche nell’interesse dei figli Biagio, Franco Gianluca e Davide, che, nell’istanza di revoca del provvedimento emesso dalla Corte d’Assise del 15/11/2000, ha discorso di "interpretazione sostitutiva" con cui "si sono date per sequestrate le quote intestate a terzi"). Volendo dare ulteriore corso all’alternativa in questione, i provvedimenti de quibus, se inquadrati nell’ottica del sequestro delle cose di cui dev’essere ordinata la confisca, potrebbero ritenersi, tuttavia, legittimi, nel caso in cui volesse seguirsi quell’autorevole dottrina che ritiene ammissibile il sequestro preventivo d’ufficio delle cose sottoposte a confisca, anche facoltativa.
Ciò posto, è evidente che il giudice civile, adito nella specie ex artt. 2377 e 2378 c.c., non è assolutamente vincolato dall’opzione interpretativa del giudice procedente (la Corte d’Assise), che ha (ripetutamente) ritenuto che, con il decreto del 28/11/1995, siano state poste sotto sequestro tutte le quote sociali della I.P.A.M. S.r.l.. Il giudice civile, cioè, è libero di interpretare il decreto del 28/11/1995, di valutare, cioè, se con esso siano state (o meno) sottoposte a sequestro le quote sociali della I.P.A.M. S.r.l., proprio perché il decreto in parola si pone quale antecedente logico-giuridico della decisione richiestagli.
Il giudice civile, per converso, ravvisata (eventualmente) l’illegittimità del provvedimento penale venuto (sia pure in via incidentale) al suo esame, non può, salvo il caso dell’inesistenza materiale, "disapplicarlo" (non avendogliene alcuna norma attribuito il potere), se non nei limiti (e nella misura) in cui gli stessi interessati abbiano azionato (utilmente) le procedure previste dalla legge per la rimozione degli effetti di un illegittimo decreto di sequestro preventivo.

7.1.3.3. Giunti a questo punto, si può procedere ad esaminare il decreto di sequestro preventivo del 28/11/1995.
Ad avviso di questo giudice, deve escludersi che la misura cautelare, per quanto nella parte dispositiva si sia fatto riferimento proprio (e solo) alla S.r.l. e al capitale sociale, abbia colpito la I.P.A.M. S.r.l. (sia pure "illegittimamente": vedi, supra, punto 7.1.2., in fine) e/o il suo capitale sociale di £. 650.000.000 (sia pure "inutilmente": vedi, supra, punto 7.1.2.).
A voler ritenere, infatti, che oggetto della misura cautelare sia proprio (o anche) il capitale sociale, dovrebbe conseguentemente affermarsi che il decreto di sequestro preventivo, in parte qua, sia stato inutilmente emesso, proprio perché il capitale sociale (come già detto: vedi, supra, punto 7.1.2.) altro non è che una mera entità numerica (id est, una cifra pattuita nell’atto costitutivo, che non deve essere inferiore a un ammontare minimo legale) che esprime il valore in danaro dei conferimenti quale risulta dalla valutazione compiuta nell’atto costitutivo della società.
E bene, poiché i provvedimenti del giudice, come le norme giuridiche, gli atti amministrativi e gli atti di autonomia privata, devono essere sempre interpretati nel senso che attribuisca loro un certo effetto giuridico (tanto più necessario quando si discorre di sequestro preventivo, finalizzato ad evitare l’aggravamento o la protrazione delle conseguenze del reato ovvero la commissione di altri reati, come si legge pure nella parte motiva del sequestro disposto in data 28/11/1995), deve senz’altro escludersi (anche in forza delle considerazione che subito seguono nel testo) che il G.I.P. abbia posto sotto sequestro solo o anche il capitale sociale come prima inteso.
Ancora dal dispositivo del decreto del 28/11/1995 (ordina il sequestro dei seguenti beni "…….I.P.A.M. Industria Prodotti Alimentari ed Affini Merdionali S.r.l…….") potrebbe ritenersi che "oggetto" della misura cautelare sia stata proprio la società a r.l..
Né ciò può escludersi (come sembra abbia fatto il tribunale di S. Maria C.V., seconda sezione penale, coll. E, in funzione di tribunale di riesame, con l’ordinanza del 12/1/2001, Eurosegnaletica S.p.A., inedita) semplicemente affermando che la società, "in quanto soggetto di diritto dotato di autonoma personalità giuridica, non avrebbe mai potuto formare oggetto di un provvedimento ablativo".
Dalla correttezza del presupposto (vedi, supra, punto 7.1.2.), invero, non può discendere come logica e necessaria conseguenza che oggetto del sequestro sia stato qualcosa di diverso dalla società a r.l.. In altre parole, non può escludersi che la I.P.A.M. S.r.l. sia stata oggetto del sequestro soltanto perché un soggetto di diritto, dotato di autonoma personalità giuridica, non può mai formare oggetto di un provvedimento ablativo.
È soltanto l’interpretazione letterale, sistematica e funzionale del decreto di sequestro, infatti, che può condurre alla corretta individuazione dell’oggetto, non potendosi aprioristicamente escludere che oggetto della misura cautelare reale sia stata proprio la società a r.l., anche se, in questo (eventuale) caso, con un evidente profilo di illegittimità indotto dal "bene colpito", che non ne avrebbe potuto formare oggetto.
Se dall’operazione interpretativa, però, dovesse arguirsi che il G.I.P. abbia voluto assoggettare a sequestro proprio la I.P.A.M. S.r.l. (per quanto soggetto di diritto, e come tale non rientrante né tra le cose pertinenti al reato né tra quelle confiscabili), il giudice civile, per quanto detto al punto 7.1.3.2., sarebbe, comunque, vincolato a quel provvedimento, che non risulta essere stato, sul punto, impugnato e (per quanto detto successivamente) modificato (essendo previsti dalla legge appositi mezzi di tutela avverso il decreto di sequestro preventivo, il giudice civile, cui viene all’esame il decreto, non potrebbe disapplicarlo [in mancanza di una norma attributiva del relativo potere] in forza di una ravvisata illegittimità).
Ciò posto, ad avviso di chi scrive è proprio l’opzione ermeneutica (e non l’astratto, possibile e legittimo oggetto del sequestro preventivo) a far ritenere, senza dubbio alcuno, che oggetto della misura cautelare non sia la società a r.l., ma (anche) le quote tutte di partecipazione al capitale sociale (discorso diverso, che qui non interessa, è quello relativo al ritenuto vincolo di indisponibilità del patrimonio sociale: cfr. provvedimento della Corte d’Assise del 17-18/2/2000).
Premesso che:
· nel dispositivo si realizza l’atto di volontà, il comando, che mediante l’organo giurisdizionale si costituisce nel procedimento di formazione della norma concreta;
· la portata ed il valore della pronuncia giurisdizionale vanno individuati tenendo conto non soltanto delle statuizioni finali formalmente contenute nel dispositivo, ma anche delle enunciazioni contenute nella motivazione, le quali incidono sul momento precettivo della pronuncia e devono considerarsi parte integrante del dispositivo, in quanto rivelatrici dell’effettiva volontà del giudice (cfr. Cass. 9157/1997, Cass. 3800/1982);
· quando nell’ambito del medesimo procedimento vengono emanati più provvedimenti, è legittima la motivazione per relationem al provvedimento precedente, giacché lo scopo della forma prevista è raggiunto in quanto la motivazione richiamata è conosciuta o conoscibile dall’interessato, per modo che egli è in grado di controllarne congruenza, logicità e legittimità (cfr., specificamente in materia di sequestro preventivo, Cass. pen. 17/3/1995, sez. VI, Franceschini).
il percorso interpretativo è il seguente:
· sul piano letterale, il dispositivo del decreto di sequestro del 28/11/1995 va letto nella sua interezza, avendo il G.I.P. fatto riferimento alla I.P.A.M. S.r.l., specificandone, altresì, il capitale sociale (£. 650.000.000);
· sul piano sistematico, il dispositivo del decreto di sequestro del 28/11/1995 va letto congiuntamente alla motivazione, che, per quanto laconica e per relationem, contribuisce a ricercare il significato del provvedimento, da dedursi, come detto, alla stregua di una lettura ed interpretazione del dispositivo in relazione con la motivazione, integrandosi l’una all’altra le varie parti del provvedimento giurisdizionale;
· sempre sul piano sistematico, nel ricercare il significato del provvedimento, occorre fare riferimento - pure - alla motivazione del provvedimento applicativo della misura cautelare personale (o.c.c. n. 371/1995, in atti a seguito di invito del giudice ai sensi del 1° comma dell’art. 669 sexies c.p.c.) avendovi il G.I.P. operato espresso rinvio "……si veda sul punto la scheda personale del prevenuto nella or. di cust. caut. n. 371/95 di questo Gip relativamente ai collegamenti strettissimi delle imprese del Passarelli con il clan dei casalesi" (cfr. ult. cpv. della parte motiva del decreto del 28/11/1995);
· sul piano funzionale, il sequestro è stato disposto:
- ai sensi dell’art. 321, 2° comma, c.p.p., avendo la P.G. accertato la disponibilità da parte di Passarelli Dante, indagato del delitto previsto e punito dall’art. 416 bis c.p., "di beni immobili, di veicoli e di attività produttive di entità assolutamente incompatibile con la capacità di produzione di reddito da parte del Passarelli";
- ai sensi dell’art. 321, 1° comma, c.p.p., essendo "evidente che la libera disponibilità dei beni agevola la commissione di ulteriori reati e consente di protrarre le conseguenze del delitto".
Ciò posto, appare evidente che:
· il disposto sequestro della "I.P.A.M. Industria Prodotti Alimentari ed Affini Merdionali S.r.l.", con capitale sociale di £. 650.000.000, vada letto unitamente a quella parte della motivazione in cui si dice che "la P.G. accertava la disponibilità da parte del prevenuto……di attività produttive di entità assolutamente incompatibile con la capacità di produzione di reddito da parte del Passarelli";
· che la parte motiva de qua vada letta congiuntamente al provvedimento applicativo della misura cautelare personale (o.c.c. n. 371/1995), in cui testualmente è scritto che "……nel corso degli anni il Passarelli ha acquistato - personalmente o attraverso propri familiari - il controllo di un gran numero di società commerciali……" (pag. 482) tra cui, come successivamente specificato, la I.P.A.M. S.r.l.; "……il Passarelli era (e tuttora è) l’effettivo gestore di tutto il gruppo societario, in quanto i figli ed i congiunti intestatari non avevano esperienza per poter gestire l’ingente patrimonio aziendale in un momento dio profonda crisi economica" (pag. 487);
Il G.I.P., quindi, quando ha posto sotto sequestro la "I.P.A.M. Industria Prodotti Alimentari ed Affini Merdionali S.r.l.", con capitale sociale di £. 650.000.000, presupponeva che Passarelli Dante avesse la disponibilità di attività produttive di entità assolutamente incompatibile con la sua capacità di produzione di reddito, nel senso che aveva assunto, per il tramite dei suoi familiari, il controllo (per quanto qui interessa) della I.P.A.M. S.r.l., delle cui quote sociali sono (id est, erano) "titolari" i figli, considerati, quindi, quali meri prestanomi e grazie ai quali il loro padre poteva disporre della società come cosa propria, proprio perché la controllava.
La disponibilità dell’attività produttiva, quindi, va correttamente intesa nel senso che Passarelli Dante, tramite le quote sociali di cui erano titolari i figli, controllava la I.P.A.M. S.r.l..
Conseguentemente:
· il "bene" su cui Passarrelli Dante, indagato del reato di cui all’art. 416 bis c.p., esercitava il potere di disposizione era costituito dal patrimonio della società, inteso in senso dinamico e considerato nel suo complesso, con tutte le sue componenti attive e passive, la cui proiezione a favore del socio è rappresentata dalle quote di partecipazione;
· erano le quote di partecipazione al capitale sociale, nella immediata disponibilità di fatto dell’indagato, che consentivano il controllo della società;
· erano le quote di partecipazione al capitale sociale (e non certo la I.P.A.M. S.r.l.) delle quali occorreva provare (ma ciò non è stato fatto, come invece richiesto dal citato art. 12 sexies) la legittima provenienza;
· ben era possibile il sequestro, mancando la prova della legittima provenienza, delle quote sociali nella disponibilità di fatto dell’indagato, essendo (pure) irrilevante, ai sensi dell’art. 12 sexies d.l. 399/1994, la formale intestazione (vedi pure Cass. pen. 13/5/1996 n. 1632 in C.E.D.);
· occorreva privare Passarelli Dante della disponibilità delle quote sociali della I.P.A.M. S.r.l., al fine di impedire una loro utilizzazione a ulteriori scopi illeciti (v. art. 321, 1° comma, c.p.p.): il sequestro preventivo delle quote o delle azioni sociali è idoneo ad impedire la commissione di ulteriori reati, pur se in maniera mediata e indiretta, poiché priva i soci dei diritti relativi alle quote (cfr. Cass. pen. 5002/1997);
· una volta sottrattagli la disponibilità delle quote sociali, il Passarelli non avrebbe più avuto il controllo della I.P.A.M. S.r.l., rendendosi, per tale via, possibile la prosecuzione dell’attività d’impresa ad oggetto lecito.
Ecco allora svelato l’effettivo oggetto del decreto di sequestro preventivo, il cui dispositivo fa riferimento alla denominazione della società e all’intero capitale sociale, diviso, nelle società a r.l., in parti in base al numero dei soci, i quali divengono titolari di una quota di partecipazione corrispondente alla frazione di capitale sottoscritta.
Del resto, che siano proprio (e/o anche) le quote di partecipazione al capitale sociale oggetto del vincolo d’indisponibilità disposto in data 28/11/1995 emerge pure dal libro dei soci (v. produzione della I.P.A.M. S.r.l.), ove, in data 5/12/1995, l’amministratore unico (Passarelli Gianluca) e il custode giudiziario davano atto che, in "assonanza" al decreto di sequestro preventivo, "viene disposto il sequestro delle quote……".

7.1.3.3.1. D’altra parte, anche se per ipotesi si volesse ritenere che le quote sociali siano rimaste fuori dall’oggetto della misura cautelare disposta in data 28/11/1995, dovrebbe, comunque, convenirsi sul fatto che questi stessi beni siano rimasti colpiti dal sequestro preventivo per effetto dei successivi provvedimenti resi dalla Corte d’Assise (in questa ipotesi, creativi e non meramente attuativi), che ha più volte chiarito che il vincolo d’indisponibilità, comunque, riguardava (anche) le quote sociali tutte della I.P.A.M. S.r.l., con la conseguenza che, non rimossi quei provvedimenti con le forme e i mezzi all’uopo previsti dal c.p.p., il giudice civile, in ogni caso, dovrebbe dare atto dell’esistenza di un sequestro preventivo concernente le quote sociali e non disapplicabile anche se eventualmente ritenuto illegittimo per mancanza dell’iniziativa del pubblico ministero (vedi, supra, punto 7.1.3.2.).
Ed è proprio questa la ragione che rende irrilevante ogni disquisizione in ordine al sequestro di prevenzione delle quote sociali della I.P.A.M. intestate ai ricorrenti (annotato dall’ufficiale giudiziario sul libro dei soci in data 3/6/1996), dovendosi ritenere, comunque, prevalente, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 2 ter l. 575/1965, il sequestro disposto nel procedimento penale, e ciò a prescindere da ogni considerazione relativamente al fatto che della misura di prevenzione si sia fatto cenno da parte della difesa del custode giudiziario, della società e del dott. Ulderico Catania, per la prima volta, rispettivamente nelle note depositate il 27/2/2001 e nel verbale d’udienza del 10/4/2001.

7.1.3.3.2. Altra e diversa questione è quella relativa alla possibilità che il provvedimento di sequestro abbia colpito anche il patrimonio sociale. Non rilevando la circostanza ai fini che qui interessano, non si scenderà nel dettaglio, anche se va qui ricordato che la giurisprudenza ne ritiene possibile il sequestro laddove l’indagato (o l’imputato) ne abbia (sia pure indirettamente) la disponibilità (nel senso fatto proprio dall’art. 12 sexies d.l. 399/1994) grazie alla convergenza in capo a lui di tutte le quote (o le azioni) sociali, sia pure ad altri formalmente intestate, sì da potersi dire che l’indagato (o l’imputato) dispone della società (e, quindi, anche del patrimonio sociale) come cosa propria.

7.1.3.4. Riconosciuta l’esistenza di un decreto di sequestro preventivo delle quote sociali della I.P.A.M. S.r.l., deve conseguentemente ritenersi, a livello di mancanza di fumus boni iuris, insussistente la denunciata violazione di diritto.
La Cassazione penale, infatti, è ferma nel ritenere che in caso di sequestro preventivo delle quote o delle azioni sociali "la partecipazione alle assemblee ed il diritto di voto (anche in ordine all’eventuale nomina e revoca degli amministratori) spettano al custode designato in sede penale" (cfr. Cass. pen. 5002/1997, Cass. pen. 7/7/1995 n. 2853, Nocerino, in C.E.D.), la cui designazione, unitamente al decreto di sequestro preventivo, risultano (a questo punto si può dire) legittimamente annotata dall’ufficiale giudiziario nel libro soci in data 14/4/2000 (cfr. la produzione della I.P.A.M. S.r.l.), e, quindi, in un momento antecedente a quello di adozione della impugnata delibera (vedi, supra, 7.1.1.1., ove si è accennato agli effetti della (il)legittima iscrizione nel libro soci).

7.1.3.4.1. Che poi il decreto di sequestro preventivo risulti iscritto dall’ufficiale giudiziario nel libro dei soci soltanto in data 14/4/2000 (e non in data 11/3/2000, come ritenuto dal custode giudiziario: cfr. pag. 3 delle note depositate il 27/2/2001), e cioè dopo oltre quattro anni dalla sua emissione (della quale pur si diede atto nella immediatezza dei fatti: vedi, supra, punto 7.1.3.3.1., in fine), nulla toglie alla perdurante efficacia della misura cautelare reale.
Sul punto è appena il caso di ricordare, infatti, che la legge non prevede alcuna forma o termine per l’esecuzione del sequestro preventivo penale in generale e di quello di quote in particolare.
Per quest’ultimo caso, se si considera che l’art. 2 quater l. 575/1965 (secondo cui "il sequestro, disposto ai sensi dell’art. 2 ter, è eseguito sui mobili e sui crediti secondo le forme prescritte dal codice di procedura civile per il pignoramento presso il debitore o presso il terzo e sugli immobili o mobili registrati con la trascrizione del provvedimento presso i competenti uffici", il cui richiamo ora è ancora più "giustificabile" per effetto dell’art. 24 l. 13/2/2001 n. 45 [in G.U. n. 58 del 10/3/2001, Supplemento ordinario n. 50], la cui lett. b) - tra l’altro - dispone che, dopo il comma 4 dell’art. 12-sexies è aggiunto il comma 4 bis "Si applicano anche ai casi di confisca previsti dai commi da 1 a 4 del presente articolo le disposizioni in materia di gestione e destinazione dei beni sequestrati o confiscati previste dalla legge 31 marzo 1965, n. 575, e successive modificazioni; restano comunque salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e al risarcimento del danno") è chiaramente riferito ai beni mobili materiali e ai crediti, sembrano in qualche modo utilizzabili soltanto l’art. 669 duodecies c.p.c., nella parte in cui dispone che "l’attuazione……avviene sotto il controllo del giudice …..il quale ne determina anche le modalità di attuazione……." e l’art 5, 1° comma, r.d. 239/1942, secondo cui, qualora non si distribuiscano i titoli delle azioni, "….…i vincoli reali……si costituiscono (leggi si eseguono) mediante annotazione nel libro stesso".
Per quanto riguarda il sequestro preventivo di quote sociali, esclusi, invero, il pignoramento mobiliare presso il debitore e l’esecuzione per consegna o rilascio (richiamata dall’art. 677 c.p.c., che, a sua volta, è richiamato ad excludendum dall’art. 669 duodecies c.p.c., che riprende, però, valore quando la forma esecutiva specificamente prevista dall’art. 677 c.p.c. non è applicabile), che presuppongono l’esistenza di una cosa materiale da apprendere (per tale impostazione, v. Tribunale Chiavari 6/6/1990, in Foro it., 1991, I, 621, Appello Palermo 28/11/1958, ivi, 1959, I, 1988) ed escluso evidentemente il pignoramento immobiliare, occorre osservare che l’essenza della misura cautelare de qua non è tanto lo spossessamento (che può anche materialmente non verificarsi, come avviene tutte le volte che venga nominato custode lo stesso sequestrato: in materia di sequestro preventivo non esiste norma analoga a quella del comma 4° dell’art. 2 sexies l. 575/1965), quanto invece l’indisponibilità del bene, finalizzata ad evitare effetti negativi ulteriori della condotta antigiuridica o la commissione di nuovi reati.
In assenza di una precisa disposizione normativa, a parere di questo giudice, appaiono meritevoli di favorevole valutazione tutte quelle modalità esecutive che raggiungono, comunque, la finalità di rendere indisponibile il bene sequestrato, come appunto l’annotazione sul libro dei soci (la cui importanza ed i cui effetti si sono ampiamente esaminati, supra, al punto 7.1.1.1.), similmente a quanto ritiene la giurisprudenza prevalente per l’esecuzione del sequestro giudiziario di quote di una società a r.l. (cfr. Tribunale Ferrara, in Giur. mer., 1992, 1135, Tribunale Napoli 18/5/1981, in Giur. comm., 1982, II, 364, Tribunale Torino 29/4/1978, ivi, 1978, II, 880, Tribunale Roma 23/2/1974, in Foro it., 1974, I, 2503), annotazione specificamente prevista dall’art. 5, 1° comma, r.d. 239/1942 per l’esecuzione dei vincoli reali (da autorevole dottrina intesi in senso lato, come ogni vincolo avente ad oggetto l’azione) nelle s.p.a. in caso di mancata emissione dei titoli (Tribunale Roma 26/10/1967, in Foro it., 1967, I, 2624, ha esteso l’art. 5, 1° comma, cit., al sequestro giudiziario in caso di mancata emissione dei titoli azionari) e, comunque, utilizzabile per la presenza nel sistema di una norma residuale di carattere generalissimo (l’art. 669 duodecies c.p.c.), per quanto non sia - come nella specie - diversamente disposto (su quest’ultimo punto, è appena il caso di aggiungere che è proprio il legislatore a rinviare, per l’esecuzione del sequestro di prevenzione, alle forme prescritte dal c.p.c.: cfr. art. 2 quater l. 575/1965).
Né può ritenersi essenziale, argomentando dagli artt. 2193, 1° comma, e 2479, 3° e 4° comma, c.c., la previa (o successiva) iscrizione del vincolo nel registro delle imprese.
L’art. 2696 c.c. sancisce, infatti, che per i beni mobili diversi da aerei, natanti e autoveicoli, rispetto a quali è disposta la trascrizione di determinati atti, "si osservano le disposizioni delle legge che li riguardano". E poiché nulla è disposto con specifico riferimento al sequestro delle quote (e, più in generale, alle domande giudiziali o agli atti esecutivi che le colpiscono), sembra preferibile continuare a ritenere che esso si realizzi mediante la semplice annotazione nel libro dei soci.
Tale ricostruzione non può essere fondatamente contrastata mediante il richiamo alle forme del pignoramento presso terzi per le seguenti ragioni:
· la quota di partecipazione al capitale sociale di una s.r.l. non può essere assimilata o ridotta ad un diritto di credito (vedi, supra, punto 7.1.1. e, da ultima, Cass. 6957/2000);
· la quota sociale nelle s.r.l. costituirebbe, secondo Cass. 7409/1986, un bene immateriale suscettibile di possesso mediante iscrizione della sua titolarità nel libro dei soci;
· in sede di espropriazione, le forme del pignoramento presso terzi vengono utilizzate in mancanza di meglio (cfr. Cass. 7409/1986), tant’è vero che una recente pronuncia di merito (Tribunale Milano 28/3/2000, in Società, 2000, 1460) si è discostata dal tradizionale orientamento della Suprema corte;
· le forme de quibus collidono con l’esigenza di celerità che deve caratterizzare il sequestro preventivo, considerato che esse non possono ritenersi perfezionate che nel momento della dichiarazione positiva da parte degli organi della società: risultato che talvolta può richiedere lo svolgimento di un intero ordinario giudizio di cognizione, ex art. 548 c.p.c.;
· è discussa l’opponibilità al terzo di buona fede del pignoramento eseguito in tali forme, quando non sia stato trascritto sul libro soci (cfr. Cass. 7409/1986);
· la Cassazione, con la recente sentenza n. 6957/2000, di fronte all’asserzione della necessità del ricorso alle forme del pignoramento presso terzi, ha specificato che il pignoramento presso terzi non costituisce la forma tipica dell’esecuzione di un sequestro giudiziario;
Ciò posto, risulta dal libro dei soci della I.P.A.M. S.r.l.:
· che l’amministratore unico (Passarelli Gianluca) e il custode giudiziario, in data 5/12/1995, hanno dato atto che con decreto del 28/11/1995 è stato disposto il sequestro delle quote sociali. Tale annotazione, proprio perché compiuta alla presenza e con la partecipazione dell’organo esecutivo della persona giuridica, già risulta astrattamente e concretamente idonea al raggiungimento dello scopo e, quindi, ad attuare la misura cautelare disposta il 28/11/1995;
· che l’ufficiale giudiziario, in data 14/4/2000, ha annotato sia il decreto di sequestro preventivo del 28/11/1995, sia il decreto di sostituzione del custode. Questa formale annotazione risulta senz’altro idonea ad eseguire, perché consente di raggiungerne lo scopo, il sequestro preventivo, sia esso quello del 28/11/1995 (non essendo previsto alcun termine; in tal caso si tratterebbe di una formalità aggiuntiva di quella adottata in data 5/12/1995), sia esso, a tutto voler concedere per decorso di un termine (inesistente) o per restrizione dell’oggetto, quello disposto dalla Corte d’Assise.

7.1.3.4.2. Se, quindi, nella ritenuta esistenza del vincolo d’indisponibilità delle quote sociali, il diritto di voto spetta al custode nominato in sede penale (il quale beninteso si è mosso seguendo le direttive del giudice procedente), anche in ordine all’eventuale nomina e revoca degli amministratori (cfr. Cass. pen. 5002/1997), non risulta fondata l’unica censura (vedi, supra, punto 7.1.3.1.) sollevata dai ricorrenti alla deliberazione del 22/11/2000, e della quale, in via cautelare, si chiede la sospensione (né alcuna rilevanza - nemmeno invocata - potrebbe avere, ai fini che ne occupano, la decisione del Tribunale di S. Maria C.V., in funzione di giudice d’appello ex art. 322 bis c.p.p., investito per la revoca del provvedimento del Presidente della Corte d’Assise - con il quale è stato ordinato al custode di convocare l’assemblea per la revoca dell’amministratore unico - sul presupposto dell’inopportunità, ai fini dell’andamento della società, della sostituzione dell’amministratore unico).
Né il giudice investito della domanda di merito (e/o dell’azione cautelare) può indagare altri eventuali (non denunciati) profili di illegittimità della delibera impugnata, essendo vincolato, per i principi fatti propri dagli artt. 99 e 112 c.p.c., ai fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio, sì come prospettati ed allegati dall’attore. Né il giudice, in presenza di una domanda di nullità fondata su di un determinato vizio, potrebbe, invocando l’art. 1421 c.c. (richiamato dall’art. 2379 c.c.), dichiarare la nullità per un (non riscontrato nella specie) vizio diverso, perché si tratterebbe di causa petendi estranea a quella invocata dalle parti che porterebbe ad una pronuncia ultra petita (in tal senso, specificamente, in materia contrattuale, v. Cass. 2398/1988; in materia di impugnativa di delibera assembleare, v. Appello Milano 31/5/1991, in Società, 1991, 1654).
Invero, nel sistema delle impugnazioni disciplinato dagli artt. 2377 e 2388 c.c., mentre il petitum si concreta nella richiesta di annullamento della deliberazione, la causa petendi è costituita dal motivo di annullamento, sì che la richiesta, nel giudizio di appello, di declaratoria di invalidità della delibera impugnata per un motivo diverso da quello dedotto nel giudizio di primo grado costituisce, per la novità della causa petendi, domanda nuova, vietata ai sensi dell’art. 345 c.p.c. (cfr. Cass. 11600/1990).

8. L’esame della sussistenza dei gravi motivi di cui al 4° comma dell’art. 2378 c.c. rimane assorbito dalla mancanza del fumus boni iuris.

9. L’avvenuta proposizione della domanda cautelare nell’alveo del giudizio di merito rende opportuna la regolamentazione delle spese in sede di pronuncia definitiva.

P.Q.M.
· respinge l’istanza proposta da Passarelli Gianluca, Passarelli Biagio, Passarelli Davide e Passarelli Franco con ricorso ex art. 2378, 4° comma, c.c. depositato il 30/12/2000;
· rimette alla sentenza di merito la regolamentazione delle spese di procedura;
· rimette le parti alla già fissata udienza ex art. 180 c.p.c..
Manda la cancelleria per gli adempimenti di rito.
S. Maria C.V., 20 aprile 2001.
Il giudice designato ed istruttore
(dott. Stanislao De Matteis)













 

 

 


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