Tribunale di Santa Maria C.V., Sezione Fallimentare, Decreto del 21.11.2000 – 24.11.2000 sui rapporti tra sequestro preventivo e fallimento

La massima

Va affermata la priorità dell'interesse pubblico perseguito dalla normativa antimafia rispetto a quello meramente privatistico della par condicio creditorum, perseguito dalla normativa fallimentare.
Ne deriva che stante la prevalenza giuridico - finalistica delle misure di prevenzione, appare illogico sostenere che la giustificazione teleologico - normativa che ne sta alla base possa venire meno in base al mero dato empirico dell'anteriorità temporale della procedura concorsuale (a cura di Nicola Graziano).

Il decreto

Il Tribunale di S. Maria C.V.

Sezione fallimentare

riunito in camera di consiglio in persona dei signori magistrati:

1) dott. Andrea Della Selva Presidente

2) dott. Stanislao De Matteis Giudice rel. ed est.

3) dott. Aldo Ceniccola Giudice

ha pronunciato il seguente

DECRETO

letto il ricorso, depositato in cancelleria in data 13\10\2000, con cui XXX WWW, rapp.to e difeso dall'avv.to Augusto Zampone, chiede, in riforma del decreto emesso dal giudice delegato in data 4\10\2000, la liberazione dei locali di sua proprietà siti in WWW, piazza Monte Vergine, già condotti in locazione dalla fallita XXX, dai beni mobili ivi custoditi;

sciolta la riserva formulata all'udienza del 17\11\2000;

OSSERVA IN FATTO

Con istanza depositata in cancelleria in data 2\10\2000, XXX WWW ha chiesto, al giudice delegato al fallimento della XXX., la liberazione dei locali siti in WWW, piazza Monte Vergine, già condotti in locazione dalla fallita, dai beni mobili ivi contenuti.

Con decreto del 4\10\2000, notificato in data 10\10\2000, il giudice delegato ha rigettato l'istanza essendo i beni mobili di cui si chiedeva lo spostamento oggetto di sequestro preventivo, sì che il curatore doveva limitarsi ad una sommaria ricognizione di detti beni "senza in alcun modo interferire nell'attività di amministrazione del summenzionato amministratore".

Con ricorso depositato in cancelleria in data 13\10\2000, XXX WWW ha chiesto al tribunale fallimentare, in riforma del decreto emesso dal giudice delegato in data 4\10\2000, la liberazione dei locali di sua proprietà dai beni mobili ivi custoditi.

RITIENE IN DIRITTO

1. La questione posta all'esame dell'organo giudicante involge direttamente i rapporti tra il procedimento di prevenzione e le procedure concorsuali, ed il fallimento in particolare.
Ciò premesso, occorre innanzitutto sottolineare che la tematica dei suddetti rapporti è tuttora oggetto di vivace e non di rado contrastante dibattito (alimentato anche dalla sentenza n. 190\1994 della Corte Costituzionale [in Il fallimento 1994, 804], che ha dichiarato inammissibile un suo intervento argomentando sul rilievo dell'inesistenza di una soluzione costituzionalmente obbligata e dell'indeterminatezza delle tecniche di tutela prospettate come costituzionalmente necessarie dal giudice remittente), sia in dottrina sia in giurisprudenza, soprattutto con riferimento alla natura dell'acquisto (se a titolo originario o derivativo) operato dallo Stato attraverso il procedimento di prevenzione.
In dottrina, si è così (riassuntivamente) sostenuto:
a) la prevalenza sul fallimento delle misure patrimoniali del sequestro e della confisca, in quanto preminente è l'interesse pubblico perseguito da tali misure;
b) la prevalenza del fallimento, essendo preminente l'interessi dei terzi in buona fede ed essendo privato il fallito dell'amministrazione dei beni e della disponibilità del suo patrimonio, entrambe trasferite al curatore, organo di natura pubblicistica;
c) la prevalenza dell'una o dell'altra procedura in base al criterio temporale, ossia dall'essere dichiarato il fallimento prima o dopo il provvedimento antimafia.
Dal canto suo, la giurisprudenza di merito ha affermato:
a) la prevalenza, in ogni caso, della misura di prevenzione sul fallimento, e ciò mediante il richiamo alla natura ablativa della confisca (cfr., da ultimo, Appello Palermo 14\11\1996, in Cass. pen., 1997, 1309; ma vedi già Trib. Roma 25\3\1985, in Giur. it., 1985, II, 397 e Trib. Palermo 18\4\1989, in Dir. fall., 1990, 613);
b) la prevalenza dell'una o dell'altra procedura in forza del principio prior in tempore potiore in iure (cfr. Trib. Palermo 16\4\1984, in Il fallimento, 1986, 486; conf. Trib. Napoli 17\10\1996, in Giur. nap., 1997, 229).
Per converso, la Suprema Corte ha seguito (per lungo tempo) l'indirizzo ispirato al principio del prior in tempore potiore in iure (cfr. Cass. 9\11\1987, Nicoletti, in Cass. pen., 1989, 467; conf. Cass. 20\10\1997, Cifuni, ivi, 1998, 2119, Cass. 30\9\1997, ivi, 1998, 3097).
Con la sentenza n. 1947\1998 (in Cass. pen., 2000, 85), tuttavia, la Cassazione, con argomentazioni condivisibili, è pervenuta all'affermazione secondo cui, nei rapporti de quibus, vi è priorità dell'interesse pubblico perseguito dalla normativa antimafia rispetto a quello meramente privatistico della par condicio creditorum, perseguito, invece, dalla normativa fallimentare.
Più precisamente in motivazione si legge, tra l'altro, che "scopo della procedura di prevenzione…..è quello di assicurare la proprietà dei…..beni al patrimonio dello stato, il cui acquisto…..si verifica a titolo originario"; che "dal complesso della normativa dettata in materia di prevenzione antimafia si desume che il legislatore ha inteso perseguire un interesse pubblico da considerarsi prioritario rispetto a quello di natura prevalentemente privatistica tutelato dalla procedura fallimentare; che "la posizione dei creditori in buona fede….può essere tutelata anche mediante la procedura di prevenzione. Infatti, ai sensi del primo comma dell'art. 2 septies l. 575\1965, è riconosciuta all'amministratore dei beni, con l'autorizzazione scritta del giudice delegato, la facoltà di compiere attività di straordinaria amministrazione anche a tutela dei diritti dei terzi, dovendosi intendere per terzi…..anche quei soggetti che in buona fede vantino pretese creditorie nei confronti dell'azienda appartenente ai proposti dichiarati falliti"; che, in definitiva, va "stabilita in via generale la priorità della procedura di prevenzione……".
E bene, per quanto il caso sottoposto all'esame della Suprema Corte vede, sul piano cronologico, l'anteriorità temporale della procedura antimafia rispetto alla sentenza dichiarativa di fallimento, sembra che la radicalità del principio affermato debba inevitabilmente riferirsi, una volta condiviso, a tutti i rapporti temporali, indipendentemente, cioè, dal fatto che sia iniziato per primo l'uno o l'altro procedimento (v., in tal senso, Trib. S. Maria C.V. 24\5\2000, inedita, nonché il commento a Cass. 1947\1998 in Cass. pen., 2000, 749, specialmente pag. 752).
Invero, una volta affermata "in via generale" (cfr. par. 4 della motivazione) la prevalenza giuridico-finalistica delle misure di prevenzione, appare illogico sostenere che la giustificazione teleologico-normativa che ne sta alla base possa venire meno in base al mero dato empirico dell'anteriorità temporale della procedura concorsuale, e ciò tanto più: che l'amministratore giudiziario, ex art. 2, primo comma septies, l. 575\1965, ha facoltà di compiere (se autorizzato) attività di straordinaria amministrazione anche a tutela di quei terzi che, in buona fede, vantino pretese pecuniarie avverso l'indiziato (cfr. Cass. 1947\1998, cit.); che, nel caso in cui il giudice della prevenzione dovesse propendere per la cessazione dell'efficacia delle misure patrimoniali di prevenzione disposte su beni di un soggetto dichiarato fallito, nulla osterà all'apprensione dei medesimi beni all'attivo fallimentare (cfr. Trib. Napoli 17\10\1996, cit.); che l'affermata prevalenza delle misure di prevenzione non può, comunque, spingersi sino al caso in cui nell'esecuzione fallimentare si sia già pervenuti alla vendita, in favore di terzi, dei beni poi oggetto di sequestro o di confisca (cfr. Trib. S. Maria C.V.24\5\2000, cit.).
In presenza di un incompleto quadro normativo di riferimento e delle ricordate diversità interpretative, la soluzione da ultima proposta (sì come innanzi modellata) sembra, quindi, preservare lo scopo pubblicistico dell'intervento statale sui patrimoni mafiosi, senza, però, illegittimamente elidere le ragioni dei creditori in buona fede che, per l'appunto, in sede di prevenzione o direttamente nei confronti dell'Amministrazione finanziaria (avverso la quale, in caso di confisca già divenuta definitiva, i creditori prelazionari devono agire esecutivamente, ex art. 602 c.p.c.) potranno avanzare le proprie richieste.
Occorre, infine, precisare che, nel caso in cui sui cespiti gravino (o gravino anche) dei sequestri penali, questi ultimi, ex art. 2 ter, ultimo comma, l. 575\1965, prevalgono a loro volta sulle misure di prevenzione i cui effetti sono "sospesi" per tutta la durata del procedimento penale ed anzi si "estinguono" nel caso di successiva confisca. In tale ipotesi, dunque, è la stessa legge che chiaramente fissa una graduazione delle varie tipologie provvedimentali, dando prevalenza a quelle penali (in tal senso, cfr. Trib. S. Maria C.V. 16-26\7\1998, inedita).
2. Ciò posto in linea di principio, osserva il collegio che il giudice delegato correttamente ha ritenuto che il curatore non potesse dare seguito alla richiesta del XXX di liberazione dei locali di sua proprietà dai bei mobili oggetto di sequestro di prevenzione.
Una volta affermata in via generale la priorità della procedura di prevenzione (vedi, supra, punto 1), la Suprema Corte (sent. 1947\1998, cit.), infatti, ha pure esaminato i limiti di competenza degli organi fallimentari in ordine allo svolgimento di attività connesse alle loro funzioni, affermando che "la sentenza dichiarativa del fallimento non può allo stato esplicare alcun effetto in ordine alla natura giuridica della confisca, ancorché non definitiva, tenuto conto che detti beni, a causa della pendenza della procedura di prevenzione, non si trovano nella disponibilità dei proposti……di guisa che il curatore può proporre solo incidente di esecuzione avverso i vari provvedimenti relativi alla custodia, conservazione e amministrazione dei beni sottoposti a sequestro. Da ciò deriva l'ulteriore conseguenza che il curatore del fallimento in relazione ai beni sottoposti a sequestro nella procedura di prevenzione - attesa allo stato la impossibilità che detti beni possano essere acquisiti alla massa fallimentare - deve limitare la propria attività ad una sommaria ricognizione degli stessi, astenendosi, comunque, dal compiere ogni altra attività connessa al suo ufficio di curatore, che possa interferire sulla custodia, conservazione e amministrazione dei beni in sequestro, che sono attività di competenza funzionale ed esclusiva degli organi della prevenzione".
Dal buon governo dei suesposti principi, pienamente condivisi dal collegio, consegue che XXX WWW, onde ottenere la liberazione dei locali di sua proprietà dai bei mobili oggetto di sequestro di prevenzione deve rivolgere istanza agli organi della prevenzione.
3. Nulla per le spese in quanto, pur trattandosi di provvedimento decisorio, non vi è stata né la costituzione del curatore, né una controversia tra più parti (su quest'ultimo punto, cfr. Trib. Roma 7\6\1995, in Il fallimento, 1996, 298).

P.Q.M.

rigetta il reclamo;

nulla per le spese.

Così deciso in S. Maria C.V., nella camera di consiglio della sezione fallimentare, in data 21\11\2000.

Il giudice relatore

(dott. S. De Matteis)

Il presidente

(dott. A. Della Selva)













 

 

 


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