Commissione tributaria provinciale di Milano, sez XXXVI, Sentenza 28 marzo 2003, Rel. Sorrentino, Spetta al Giudice tributario decidere sul comportamento illecito dell'amministrazione finanziaria.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La ricorrente, Vian Egidio & C. SNC, a mezzo proprio difensore, proponeva ricorso per vedere annullare l'avviso di rettifica e liquidazione n. 012V008184 emesso dall'Agenzia Entrate - Ufficio Milano 2 - per maggiore imposta di registro relativa all'atto di cessione d'azienda, nella specie bar gelateria, registrato il 9/4/2001.
Lamentava il ricorrente l'arbitrarietà dell'operato dell'Ufficio che aveva apoditticamente rettificato in lire 270.000.000 il valore di lire 129.432.000 attribuito all'avviamento in sede di stipula, valore che già risultava molto superiore rispetto a quello teorico determinabile ai fini tributari sulla base dell'art. 2, comma 4, del DPR 460/96. In virtù di tale rettifica era stata addebitata al cessionario, e, di conseguenza, al cedente in via solidale, una maggiore imposta di Euro 2.178,00 più accessori, per un totale di euro 4.410,13.
L'ufficio respinse l'istanza di autotutela, e, in sede di accertamento con adesione, rideterminò il valore d'avviamento in lire 198.000.000. L'odierno ricorrente non accettò la proposta dell'Ufficio.
Chiedeva, inoltre, la ricorrente il rimborso delle spese di giudizio in via equitativa ed una condanna dell'Ufficio al risarcimento dei danni ex art. 96 C.P.C. da liquidarsi anch'esso in via equitativa.
Si costituiva l'Ufficio, ex art. 23 D.Lgs. n. 546/92, controdeducendo per la legittimità e fondatezza del suo operato ed il fatto che la questione era già stata definita a seguito di istanza di adesione ex art. 6, comma 2, del D. Lgs. 218/97, presentata dalla parte acquirente che aveva accettato la proposta di riduzione dell'Ufficio del valore dell'avviamento accertato da lire 270.000.000 a lire 198.000.000, ed, inoltre, l'acquirente, in seguito a ciò, aveva provveduto al pagamento del debito d'imposta ragion per cui la vertenza era da considerarsi chiusa.
Pertanto l'Ufficio chiedeva volersi dichiarare la cessata materia del contendere, ed, in via subordinata, la conferma della piena legittimità dell'avviso impugnato con definizione del valore "dell'azienda", mentre la definizione doveva essere "dell'avviamento", in lire 198.000.000, come da atto di adesione e mod. F23 allegato.
Nel corso della pubblica udienza, presenti entrambe le parti, il difensore della ricorrente insisteva per la non applicazione dell'istituto della cessata materia del contendere e per l'emissione di una sentenza in merito alla valutazione dell'avviamento.
La Commissione, esaminati gli atti ed i documenti di causa, uditi il relatore e le parti, così decide.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso merita accoglimento.
Il Collegio osserva, in via preliminare, che esiste la legittimazione della ricorrente a chiedere il giudicato nonostante la richiesta da parte dell'Ufficio di applicazione della cessata materia del contendere. Infatti, la parte acquirente ha potuto facilmente decidere di accettare la valutazione dell'Ufficio in sede di accertamento con adesione ex D.Lgs 218/97 in quanto il costo dell'operazione, ammontante al 3% (aliquota imposta di registro) viene ampiamente recuperato dal risparmio di imposte dirette conseguente alle maggiori quote di ammortamento che è possibile dedurre in seguito alla maggior valutazione dell'avviamento stesso.
Diverse problematiche presenta la posizione del venditore, il quale andrebbe incontro ad un maggior carico di imposte dirette a seguito delle maggiori plusvalenze derivanti da una maggiore valutazione dell'avviamento, ciò anche in considerazione della recente giurisprudenza di legittimità che ha stabilito il principio che in tema di accertamento, ai fini delle imposte sui redditi, delle plusvalenze realizzate a seguito di trasferimento di azienda, il valore dell'avviamento, resosi definitivo ai fini dell'imposta di registro, assume carattere vincolante per l'Amministrazione Finanziaria (Cassazione, Sez. Trib., Sent. 22/3/2002 n. 4117 - Pres. Cantillo - Rel.Altieri).
Invero la condotta dell'Ufficio Accertatore appare censurabile. L'avviso di rettifica, partendo dal riferimento agli artt. 51 e 52 del DPR 131/86, che peraltro dicono molto poco in materia di valutazioni aziendali, con affermazioni piuttosto evanescenti, l'Ufficio rettifica il valore senza alcun riferimento all'art. 2 comma 4 DPR 460/96, che detta precisi criteri per la valutazione in questione. Recita l'atto impugnato: "……. tenuto conto dei margini di contribuzione con cui operano i suddetti esercizi …." (quali?), forse l'Ufficio intendeva i margini di redditività, visto che in economia aziendale i margini di contribuzione sono solo dei risultati "grezzi" scaturendo questi dalla differenza tra i ricavi ed i soli costi variabili, e, comunque non sono indicati i valori dei "margini di contribuzione con cui operano i suddetti esercizi".
L'atto impugnato continua: "tenuto conto …….. e dei prezzi di mercato praticati in zona per compravendite similari, …….", senza indicare il periodo preso in esame né il numero delle transazioni sulle quali è stata calcolata la media dei prezzi di mercato praticati in zona per compravendite similari. Nell'atto impugnato si fa genericamente riferimento all'ubicazione dell'esercizio ceduto senza indicare se trattasi di zona centrale, semicentrale o periferica, né vi è alcun riferimento alla dimensione dei locali od al numero degli addetti, ragion per cui è dato ritenere che l'Ufficio accertatore non abbia considerato nemmeno questi parametri, che pur sono fondamentali, tanto da essere adottati negli studi di settore. L'iter logico della formazione dell'avviso di rettifica si conclude con la determinazione di valutare l'avviamento in misura pari ad una volta e mezza la media del volume d'affari, come segue:
Avviamento (media degli ultimi tre anni): lire 180.503.000 x 1,5 = lire 270.000.000 (arrotondato). Non si comprende quale criterio di economia aziendale sia stato adottato né quale sia la normativa di riferimento atta a giustificare tale operato. Peraltro, proprio per il caso specifico, provvede l'art. 2 comma 4 del DPR 460/96 a dettare i criteri da seguire: infatti esso prevede che per le aziende e per i diritti reali su di esse il valore di avviamento vada determinato sulla base degli elementi desunti dagli studi di settore o, in difetto, sulla base della percentuale di redditività applicata alla media dei ricavi accertati o, in mancanza di quelli dichiarati ai fini delle imposte sui redditi negli ultimi tre periodi d'imposta, anteriori a quello in cui è intervenuto il trasferimento, moltiplicato per 3.
Orbene, moltiplicando il fatturato medio per 1,5 equivale ad assumere una redditività media (utile/ricavi) del 50% (1,5 diviso 3, visto che la norma impone di moltiplicare per 3 la redditività), e l'Ufficio non ha giustificato attraverso quale iter logico ha determinato di adottare un ricarico così elevato.
Vieppiù, l'Ufficio ha arbitrariamente adottato un metodo di calcolo previsto solo in via sussidiaria, "in difetto", come recita il comma 4, ossia in mancanza degli studi di settore. Sta di fatto che già dal 1998, primo anno del triennio preso in considerazione nei calcoli in esame, per le attività di bar e gelateria gli studi di settore esistevano (settore dei servizi, gruppo SG37U
Codice attività 55.40.1 Bar e Caffè più codice attività 55.40.2 Gelaterie) ed il comma 4 vincolava l'Ufficio ad operare "sulla base degli elementi desunti dagli studi di settore o, in difetto, ………".
Ulteriore conferma della errata ed arbitraria condotta dell'Ufficio si ottiene dalla lettura del verbale di accertamento con adesione redatto il 31/5/2002, dove, in maniera repentina, si scende dal coefficiente 1,5 al coefficiente 1,1, concedendo uno sconto di 13 punti su 50, ossia, in termini percentuali, del 26% (oltre ¼), adducendo motivazioni superficiali e poco convincenti, quali:
1) "ubicazione dell'attività in zona periferica", fatto da valutare subito e non in questa fase, dove diventa difficile per il contribuente far valere le proprie ragioni quando si parte da importi troppo elevati, che, per arrivare ad importi ragionevoli, richiederebbero sconti da mercati arabi;
2) "non particolare redditività solo per l'esercizio 1999, ammontante a lire 50 milioni", tesi poco convincente, visto che l'anno con bassa redditività era già entrato nel calcolo della media del volume d'affari del triennio contribuendo a fare abbassare la base di calcolo sulla quale era stato applicato il coefficiente di redditività, per cui l'Ufficio sembra adottare un ragionamento inverso: prima riduce il coefficiente e poi ne cerca le giustificazioni. Ricavi particolarmente bassi potrebbero anche non influire sulla redditività se l'attività è svolta in presenza di bassi ammortamenti e bassi costi fissi, ma, in merito, non si rileva alcunché negli atti in esame, forse perché non sono state considerate per nulla queste eventualità.
Questo Collegio osserva che, dall'esame degli atti di causa e dalla discussione in pubblica udienza, si è rilevata una condotta negligente dei funzionari dell'Amministrazione Finanziaria nella formazione dell'atto impugnato ed una colpa grave anche nella condotta successiva, sia per il diniego di annullamento in autotutela sia in sede di accertamento con adesione, fatti che indubbiamente hanno causato danni e dispendio di energie alla parte ricorrente, ragion per cui, in ordine alla richiesta della ricorrente stessa di risarcimento danni ex art. 96 CPC, si condanna la parte soccombente al risarcimento danni ex art. 96 CPC, liquidato in via equitativa in euro 400, nonché, in ordine alla richiesta di vittoria delle spese di giudizio, per gli stessi motivi, condanna la parte soccombente al pagamento in via forfetaria di euro 500 per spese, diritti ed onorari del giudizio.
PQM
Il Collegio, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso dichiarando illegittimo l'avviso di rettifica e liquidazione della maggiore imposta impugnato. Condanna la parte soccombente alle spese di giudizio, liquidate nella misura forfetaria di euro 500, nonché al risarcimento dei danni per colpa grave, ex art. 96 CPC, nella misura forfetaria di euro 400.

Così deciso in Milano, il 13/3/2003.

L'estensore

Il Presidente

 


 

 

 











 

 

 


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