L'accesso al fascicolo fallimentare nell'ambito delle investigazioni difensive

Osservazioni a cura dell'Avv. Domenico Santacroce

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Prima della introduzione dell'art. 391 quater del C.P.P., avvenuta con l'art. 11 della legge 397 del 7 dicembre 2000, sotto il titolo " Richiesta di documentazione alla pubblica amministrazione ", gli strumenti a disposizione del difensore in sede penale al fine di acquisire documentazione dalla pubblica amministrazione erano tre: a) richiedere al P.M., con istanza difensiva ai sensi dell'art. 367 c.p.p., di ordinare alla pubblica amministrazione la esibizione di atti e documenti ai sensi dell'art. 256 c.p.p.; b) richiedere al P.M. il sequestro probatorio di atti e documenti esistenti presso la pubblica amministrazione, aprendo la strada, in caso di mancato accoglimento della istanza, all'intervento del G.I.P. ( attivato dallo stesso organo di accusa ai sensi dell'art. 368 c.p.p. ), che decide con provvedimento non soggetto né a reclamo né ad impugnazione; c) attivare, attraverso la parte, il procedimento amministrativo di accesso ai documenti amministrativi, previsto dagli articoli 22 e seguenti della legge 241 del 1990, per impugnare le eventuali determinazioni di rifiuto innanzi al T.A.R., che decide con provvedimento a sua volta impugnabile in Consiglio di Stato. Quest'ultima via, per le difficoltà di ottenere una sollecita decisione, è stata sempre considerata nella difesa penale una estrema ratio, ed il difensore ha sempre preferito, anche in caso di rigetto del sequestro probatorio da parte del G.I.P., reiterare l'istanza alla stessa autorità giudiziaria nelle fasi successive del procedimento.
Con la introduzione dell'art. 391 quater del c.p.p. la situazione non è molto mutata. A parte la novità della possibilità di una richiesta avanzata direttamente dal difensore alla pubblica amministrazione, vincolata alla sola rappresentazione della utilità della documentazione ai fini della investigazione difensiva e senza altra motivazione, tutto poi è rimasto come prima. Cioè le effettività, l'adeguatezza, e la tempestività della investigazione non si giovano della previsione di un efficace strumento di tutela a fronte del rifiuto della pubblica amministrazione, neppure con la previsione di una istanza di sequestro probatorio proponibile direttamente al G.I.P.. Restano fermi i meccanismi previsti dagli artt. 367 e 368 c.p.p., espressamente richiamati dall'ultimo comma dell'art. 391 quater c.p.p.. Con la evidente conseguenza che la difesa, se vuole sperare di acquisire i documenti, deve rendere note le proprie strategie all'organo dell'accusa, che rimane arbitro della sorte della istanza difensiva, salvo l'ulteriore controllo inappellabile del G.I.P., che solitamente si adegua alla indicazioni dell'accusa, perché decide in base ad una conoscenza limitata di dati, costituiti dalla istanza di sequestro probatorio e dal parere del P.M..
Concorre ancora attualmente con il sistema introdotto dall'art. 391 quater c.p.p. il modello processuale previsto dagli artt. 22 e seguenti della legge 241 del 1990; una via, come si è già detto, lunga da percorrere, e anche difficile per i problemi che presenta, ancora oggi, il superamento del segreto di ufficio.

La legge sulle indagini difensive 397 del 2000 nulla prevede circa la acquisizione di documentazione che non sia in possesso della pubblica amministrazione.
A prescindere dalla mancata previsione della facoltà di potere accedere ai documenti di soggetti privati, che si può giustificare per le difficoltà che avrebbe offerto la sua necessaria delimitazione, nulla è detto nella citata legge a proposito di documentazione reperibile presso pubblici depositari, ritenendosi evidentemente sufficiente la disciplina che in proposito dettano gli artt. 743 e seguenti del c.p.c. e l'art. 76 delle disp. att. del c.p.c.. Il procedimento previsto da queste norme ha certamente una valenza sostanziale generale, nel senso che, salve le limitazioni contenute nelle stesse norme, tutti i pubblici depositari ( per i quali si intendono quelli che hanno per legge la funzione specifica di conservare e di tenere a disposizione del pubblico gli atti che ricevono o che hanno contribuito a formare o che, comunque, essi detengono proprio in veste di pubblici depositari ) sono tenuti a rilasciare copia autentica dei documenti presso di loro in deposito " ancorché l'istante o i suoi autori non siano stati parti dell'atto. ", in quanto la finalità del pubblico deposito svolge una funzione di documentazione prettamente pubblicistica con efficacia erga omnes.
Una speciale previsione in questo contesto normativo è riservata agli atti giudiziali, in relazione ai quali l'art. 744 c.p.c. stabilisce che " i cancellieri ed i depositari di pubblici registri sono tenuti, eccettuati i casi determinati dalla legge, a spedire a chiunque ne faccia istanza le copie e gli estratti degli atti giudiziali da essi detenuti, sotto pena dei danni e delle spese. ". La coordinazione con altre disposizioni ordinamentali consente di stabilire che, esclusi gli atti penali per i quali occorre far riferimento agli artt. 116 e 243 del c.p.p., il difensore penale, al pari di ogni altro soggetto, non incontra limiti ad accedere ad atti, e a richiederne copia o estratti, qualora si tratti di documentazione giudiziale destinata ad operare fuori dell'ambito processuale, quali sono i provvedimenti provvisori e le sentenze emesse dal giudice. Quanto, invece, agli altri atti di causa, contenuti nel fascicolo di ufficio e nelle produzioni di parte, il difensore penale incontra il limite derivante dall'art. 76, disp. att., c.p.c., in base al quale tali atti sono accessibili per copie o estratti soltanto alle parti e ai propri difensori muniti di procura. In questo caso il difensore penale, esibendo il mandato difensivo, potrà accedere all'intero fascicolo e alle produzioni di parte, purchè il soggetto assistito sia parte, anche se non costituita, del relativo procedimento, e, nel caso di rifiuto sarà legittimato ad attivare il procedimento previsto dall'art. 745 c.p.c. con ricorso, a secondo dei casi, al giudice di pace, al presidente del tribunale o al presidente della corte di appello.
Da quanto sin qui esposto si ricava che rispetto ad atti e documenti contenuti in un procedimento civile, nel quale il soggetto non sia parte, il diritto di difesa è gravemente compromesso, in quanto né il terzo né il suo difensore sono legittimati a richiederne copie od estratti.

Il sistema processuale, fin qui esaminato, mostra ulteriori e più gravi limitazioni, che riguardano anche le parti direttamente interessate, in quanto la normativa di cui agli artt. 743 e seguenti c.p.c e 74 disp. di att. c.p.c. non trova diretta ed immediata applicazione rispetto agli atti della procedura fallimentare.
In quest'ultimo ambito, per le note implicazioni penalistiche del procedimento fallimentare, sarebbe stata opportuna una particolare disciplina delle facoltà del difensore in sede penale, onde superare le difficoltà derivanti da interpretazioni e prassi restrittive con le quali viene tutelata la riservatezza caratteristica degli atti fallimentari sia nei confronti della parte che nei confronti di terzi e rispettivi difensori. Costoro, infatti, in base al generale principio della funzione documentazione pubblicistica avente efficacia erga omnes ( art. 743 c.p.c. ), non incontrano limitazioni alla conoscibilità ed al rilascio di copie ed estratti di atti del procedimento fallimentare soltanto se si tratta di atti pubblici o sottoposti ad apposite forme di pubblicità, quali la sentenza dichiarativa di fallimento e le ordinanze di vendita dei beni del fallito.
Quanto agli altri atti, interpretazione e prassi restrittive sono nel senso che la consultazione del fascicolo fallimentare non sarebbe effettuabile da parte di chiunque vi abbia interesse, né potrebbe riguardare indiscriminatamente tutti gli atti. La consultazione sarebbe consentita in questi casi soltanto a seguito di apposito provvedimento del G.D., ricorribile innanzi al Tribunale, in relazione ad atti specifici e soltanto a quei soggetti, che dimostrino di avere un interesse diretto concreto ed attuale in riferimento ad essi.
Quanto al fallito, il maggiore ostacolo per costui alla libera consultazione del fascicolo fallimentare deriverebbe, secondo il suddetto orientamento restrittivo, dal rilievo penale che può assumere la relazione del curatore di cui all'art. 33 della legge fallimentare. Si tratta, però, di una preclusione soltanto concettuale e non normativa, in quanto non trova alcuna possibilità di aggancio nelle norme processuali penali e, soprattutto, in quelle attualmente viventi. Non va dimenticato, infatti, il dato costante del sistema fallimentare, in base al quale tutte le fattispecie penali fallimentari richiedono per l'esistenza del reato, il presupposto dell'accertamento in sentenza, passata in giudicato, dello stato di insolvenza, ovvero che tale stato di insolvenza di tipo fallimentare sia un dato di fatto accertato dal giudice penale quale elemento costitutivo del reato, indipendentemente dalla esistenza o meno di un giudicato fallimentare. Ne deriva che la relazione del curatore deve essere considerata alla stregua di una elencazione e valutazione di fatti che non ha da sola, in assenza dello accertato presupposto dello stato di insolvenza, alcuna rilevanza penale. La relazione del curatore in sé considerata non è, in altri termini, una notizia di reato e non può essere coperta dal segreto dal segreto investigativo e potrebbe essere sottratta alla conoscibilità da parte del fallito, solo qualora essa fosse segretata in tutto o in parte in base ad intese tra P.M. e G.D. con una coordinazione di attività tra i due uffici mai esistita; in pratica, l'uno ignora ciò che fa l'altro.
Quanto ai terzi, e tra questi soprattutto i terzi coinvolti nei fatti di bancarotta o a questi connessi, l'indirizzo restrittivo seguito dagli uffici fallimentari è nel senso che costoro per potere consultare il fascicolo fallimentare ed ottenere il rilascio eventuale di copie o estratti, oltre a consentire la loro identificazione dovrebbero specificare in apposita istanza quali atti intendono visionare ed indicare il loro interesse attuale e diretto, rilevante ai fini dell'accoglimento della istanza, con riferimento a specifiche esigenze difensive, da delibarsi da parte del Giudice Delegato.
Queste interpretazioni restrittive, che spesso si trovano ribadite in dettagliate istruzioni che si leggono in avvisi datati ed ingialliti affissi alle porte delle cancellerie giudiziarie, sono in evidente contrasto con interessi costituzionalmente protetti, la cui realizzazione non è consentito ostacolare ( diritto di difesa di cui all'ar, 24 Cost.; contraddittorio con parità tra le parti di cui all'art. 111 Cost.). La effettività della tutela costituzionale dei suddetti interessi impone l'abbandono di atteggiamenti e comportamenti, che, mantenendo di fatto una divaricazione tra costituzione formale e costituzione reale, contribuiscono ad alimentare una inutile e pregiudizievole conflittualità tra operatori della giustizia ed utenti.
Fortunatamente si ha ancora occasione di leggere qualche illuminata pronuncia in proposito, come l'ordinanza del Tribunale di Roma del 18 gennaio 2000, che si riporta in calce, la quale in tema di consultazione della documentazione fallimentare ha aperto un squarcio considerevole, facendo puntuale applicazione dei principi costituzionali innanzi richiamati. Le indicazioni della suddetta ordinanza, certamente non avranno subito la estensione che esse meritano, ma sono sufficienti a fare sperare che il loro richiamo nelle istanze del difensore in sede penale, quanto a consultazione di atti giudiziari, possa, quanto meno, evitare che le istanze stesse siano esaminate con l'animo di chi, senza il dovuto garbo, si pone di fronte ad uno scocciatore inopportuno del quale occorre subito liberarsi.


TRIBUNALE DI ROMA 18 gennaio 2000 (decr.) Est. Norelli (decr.) - <C> (avv. Perazzoli) c. fall. <S. T. s.r.l.>.

(Omissis …)
"Il giudice delegato, letta l'istanza in data 27 ottobre 1999 dell'avv. Maria Virginia Perazzoli, nell'interesse di <R. C.>, amministratore della società fallita, tendente ad ottenere l'autorizzazione a prendere visione e ad estrarre copia degli atti e documenti raccolti nel fascicolo del fallimento;
sentito il curatore;
osserva quanto segue.
1. Come si evince dagli art. 26 e 36 1. fall. (a norma dei quali il fallito e i singoli creditori ammessi al passivo, " interessati " in quanto destinatari del risultato utile della procedura, sono legittimati a proporre reclamo avverso gli atti di amministrazione del curatore e i provvedimenti del giudice delegato), dall'art. 1161. fall. (per il quale del deposito del conto della gestione del curatore e della fissazione dell'udienza per l'esame dello stesso deve essere data " comunicazione al fallito ed ai singoli creditori ", i quali, all'udienza, possono presentare " osservazioni "), dall'art. 110 1. fall. (secondo cui " tutti i creditori " devono essere avvisati dell'avvenuto deposito dei progetti di ripartizione dell'attivo e possono far pervenire le loro " osservazioni " entro dieci giorni dall'avviso), nonché dall'art. 76 disp. att. c.p.c. (come modificato dall'art. 7 d.l. 7 ottobre 1994, n. 571, convertito in 1. 6 dicembre 1994, n. 673, secondo cui " le parti o i loro difensori muniti di procura possono esaminare gli atti e i documenti inseriti nel fascicolo d'ufficio e in quelli delle altre parti e farsene rilasciare copia dal cancelliere, osservate le leggi sul bollo "), le " parti " della procedura fallimentare, ossia il fallito e i creditori ammessi al passivo hanno facoltà di consultare 31 fascicolo fallimentare, onde prendere visione ed estrarre copia di tutti gli atti e documenti in esso raccolti, non eccettuata la relazione del curatore ex art. 331. fall. (cfr., in senso conf., già trib. Roma ? decr. ? 24 giugno 1970, Dir. fall., 1971, II, 7?r. la facoltà di proporre reclamo implica necessariamente quella di venire a conoscenza degli atti reclamabili e dei loro presupposti; la facoltà di presentare osservazioni al conto della gestione implica necessariamente la facoltà di esaminare gli atti e i documenti, da cui risulta la gestione del curatore; la facoltà di fare osservazioni ai progetti di ripartizione implica necessariamente la facoltà di conoscere tutti gli atti relativi alla liquidazione dell'attivo, alla realizzazione ed alla utilizzazione di tutte le somme riscosse dal curatore.
Una diversa, più restrittiva interpretazione (qual è quella ancora seguita dalla prevalente giurisprudenza) non trova più adeguata giustificazione nell'ordinamento vigente, alla luce dei principi costituzionali del diritto di azione e di difesa (art. 24 comma 1 e 2, Cost.), del contraddittorio e della " parità delle armi " (art. 111 comma 2 Cost., introdotto dall'art. 1 1. cost. 23 novembre 1999, n. 2).
1.2. La previsione dell'art. 41 comma 4 1. fall. (a tenor del quale il comitato dei creditori ed ogni membro di esso " possono sempre ispezionare le scritture contabili e i documenti del fallimento, ed hanno diritto di chiedere notizie e chiarimenti al curatore e al fallito ") non può ritenersi limitativa della facoltà di accesso al fascicolo fallimentare al solo comitato dei creditori ed ai singoli suoi membri, essendo diretta a disciplinare le funzioni di un " organo preposto al fallimento " e dei suoi componenti e non già le facoltà delle parti della procedura.
2.1. Deve, invece, escludersi, in via generale, che i terzi abbiano diritto alla consultazione del fascicolo fallimentare, potendo ammettersi solo che sia consentito loro di prendere visione ed estrarre copia, oltreché degli atti che, per disposizioni di legge, sono destinati ad essere pubblicati (come la sentenza dichiarativa del fallimento e le ordinanze di vendita di beni fallimentari) o ad essere resi conoscibili in funzione della partecipazione di terzi a determinate operazioni (come le perizie di stima e le certificazioni di pubblici uffici relative a beni fallimentari da liquidare), soltanto di quegli specifici atti, dei cui effetti i terzi sono destinatari, ovvero rispetto ai quali sussiste un loro interesse, giuridico e non di mero fatto, tale da legittimarli al reclamo ex art. 26 o ex art. 361. fall. (cfr., in senso sostanzialmente conf., ancora trib. Roma 24 giugno 1970, cit.).
2.2. Tuttavia, in base ai principi dell'ordinamento vigente, non può negarsi ai terzi la facoltà di accesso all'intero fascicolo fallimentare, quando ciò si renda necessario per la realizzazione di un interesse costituzionalmente protetto, qual è quello della persona accusata di un reato alla acquisizione di ogni mezzo di prova a suo favore nel processo penale (art. 111 comma 3 Cost., introdotto dall'art. 1 l. cost. n. 2, cit.): il che si giustifica, nell'ottica di una interpretazione evolutiva della disciplina fallimentare, alla luce, altresì, del già richiamato principio costituzionale dell'inviolabilità del diritto di difesa (art. 24 comma 2 Cost.), principio cui deve riconoscersi forza espansiva, quale criterio?guida dell'interpretazione normativa, anche al di là del singolo processo, in cui viene ad essere oggetto di giurisdizione, penale o civile, una determinata posizione giuridica soggettiva sostanziale.
3.1. La persona che ricopre la carica di amministratore della società fallita, quando agisce per la propria difesa in relazione ad un processo penale per reati fallimentari, non rappresenta la società, in quanto cura un proprio interesse personale, ed è, dunque, rispetto alla procedura fallimentare, terzo e non parte.
3.2. La medesima persona può, allora, essere autorizzata a consultare, personalmente o tramite i suoi difensori e consulenti tecnici, il fascicolo fallimentare, onde trarne elementi di prova a suo favore, da utilizzare in un processo penale, in cui sia accusata di reati fallimentari in ragione della sua carica nella società fallita.
4.1. Nel caso di specie, l'istante, essendo stato rinviato a giudizio per reati di cui agli art. 216, 219 e 223 1. fall. in qualità di amministratore della società fallita, intende prendere visione ed estrarre copia degli atti e documenti raccolti nel fascicolo fallimentare, ai fini della sua difesa nel processo penale.
4.2. Alla stregua delle considerazioni che precedono, l'istanza può essere accolta."
(Omissis …)


 












 

 

 


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