CONSIGLIO NAZIONALE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI
CONVEGNO IN ROMA DEL 23 FEBBRAIO 2002
"LA PRASSI FALLIMENTARE NEI TRIBUNALI"


Acquisizione e liquidazione dei beni mobili

Dott. Luigi ABETE
MAGISTRATO
Giudice della Sezione fallimentare del Tribunale di Napoli

Non è a negarsi che l'acquisizione dei beni, segnatamente dei beni mobili, appare, a prima vista, argomento di modesta importanza, tant'è che, siccome puntualizza autorevole dottrina, "le esposizioni trattatistiche e manualistiche non sono solite dedicare separato rilievo al patrimonio attivo"1) .
Nondimeno, il thema riveste pregnante valenza, giacchè "di fronte ad un qualsiasi processo di attuazione della responsabilità patrimoniale, occorre... evidenziare la composizione e la disciplina del suo oggetto"2) ed, in primo luogo, "prendere atto dei principi, con la cui applicazione il patrimonio deve essere identificato e composto alla data della sentenza dichiarativa di fallimento"3) . E siffatta rilevanza la si coglie non solo nel solco di una prospettiva eminentemente pragmatica, che ha riguardo ovvero alle difficoltà che, più o meno quotidianamente, si impongono agli operatori, innanzitutto ai g.d. ed ai curatori, ma, altresì, nel quadro di una "dimensione" prevalentemente teorica, "dimensione" le cui asperità immancabilmente si riverberano sul piano operativo.
Certo è indubitabile, in chiave astratta, che le quaestiones che il thema sovente prospetta, non appartengono, a stretto rigore, al diritto fallimentare, sibbene ad altri rami dell'ordinamento, in primo luogo al diritto civile4) . Pur tuttavia è con siffatte problematiche che la prassi ci constringe a misurarci, sicchè si manifesta appieno l'utilità, l'opportunità di una ricerca del tipo di quella condotta sotto l'egida del Consiglio Nazionale, non solo in quanto rivolta a verificare la conformità al dato positivo (recte: alla sua condivisa interpretazione) delle soluzioni di volta in volta praticate, onde auspicare e sollecitare la correzione dei difformi atteggiamenti applicativi, sibbene, altresì, in un momento, quale quello attuale, in cui la stagione delle riforme sembra oramai aperta irreversibilmente, in quanto finalizzata, de iure condendo, a suggerire al legislatore, sulla scorta della constatazione di massicci orientamenti operativi svincolati dalla previsione legislativa, la sterilità di soluzioni perpetuanti opzioni dalla prassi già disattese.
Ebbene, è mio proposito soffermarmi su taluni profili che il complesso capitolo affidato alla mia esposizione involge, all'uopo puntualizzando, debitamente, che la selezione degli aspetti che, a mio giudizio, meritano specifica illustrazione fonda non solo sulla oggettiva pregnanza che nel sistema fallimentare riveste il passaggio procedurale che vi è sotteso, sibbene, inoltre, sulla peculiare significatività del dato che è esplicitato dalla prassi.
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La sigillazione, contemplata all'art. 84 l.f. quale adempimento destinato a seguire, nelle forme di cui al codice di rito, senza soluzione di continuità la declaratoria di fallimento, costituisce passaggio procedurale che il "diritto vivente" connota in termini applicativi spiccatamente minoritari: i giudici delegati interpellati, in maggioranza più che consistente, hanno riferito di procedere direttamente all'inventario, astenedosi consapevolmente dalla prodromica incombenza5) .
Al cospetto del dato fattuale testè enunciato l'interprete ed, in tempi di riforma, il legislatore, devono, a mio giudizio, inevitabilmente interrogarsi in ordine alla imprescindibilità o meno della funzionalità cautelare6) che l'apposizione dei sigilli è destinata ad assolvere e, conseguentemente, in ordine alla surrogabilità o meno di siffatto passaggio procedurale con quello, immediatamente successivo, della redazione dell'inventario7) .
Nella delineata prospettiva va debitamente evidenziato che l'organo dell'inventariazione è, nella previsione legislativa, in via esclusiva il curatore. Altresì, che tra il momento a partire dal quale la declaratoria di fallimento produce i suoi effetti8) ed il momento in cui la persona fisica nominata all'ufficio di cui agli artt. 27 e segg. l.f. attende all'accettazione dell'incarico9) , decorre inevitabilmente un certo lasso temporale10) , durante il quale ben si configura (e l'esperienza applicativa lo dimostra inconfutabilmente) la necessità di neutralizzare il rischio di dispersioni, di sottrazioni, di alterazioni del patrimonio da destinare alla liquidazione. Conseguentemente è ad ammettersi che non ci si possa sottrarre, facilmente, alla necessità di elidere interinalmente simile pericolo e, contestualmente, che non vi è margine per ipotizzare la perfetta fungibilità dell'incombenza di cui all'art. 84 l.f. con quella contemplata al successivo art. 87.
Certo, non sfugge che del pari la sigillazione presso la sede principale dell'impresa postula, salvo legittimo impedimento, l'assistenza del curatore (art. 87, co. 1, l.f.) e, dunque, presuppone che l'organo esecutivo abbia già reso efficace, con la sua accettazione, l'atto di investitura, sicchè altresì l'attuazione della cautela di cui all'art. 84 l.f. risulta nel sistema del r.d. n. 267/'42 subordinata ai tempi di cui agli artt. 17, co. 1, e 29, co. 1, l.f., ad onta delle ragioni d'urgenza che il legislatore avrebbe recepito, quali icasticamente espresse dall'avverbio "immediatamente" figurante nel testo normativo. In questi termini potrebbe agevolmente argomentarsi nel senso che l'impossibilità di azzerare i tempi di inevitabile inerzia, suggerisce il passaggio repentino all'atto finale, pretermettendo l'atto prodromico a valenza cautelare.
Nondimeno, può opportunamente rilevarsi, in primo luogo, che nulla osta acchè si qualifichi come legittimo impedimento del curatore la circostanza che la sua nomina sia ancora in itinere, evenienza, questa, che se impedisce l'inventariazione, atto del curatore, di sicuro non preclude la sigillazione, atto rimesso all'esclusiva competenza dell'autorità giudiziaria.
In secondo luogo, che il soverchiante carico di lavoro che affligge i g.d., se in qualche misura giustifica la loro scarsa disponibilità al preliminare cautelare adempimento, non osta acchè si solleciti e si incentivi la competenza che l'art. 85 l.f. in via sussidiaria rimette ora al giudice di pace.
In terzo luogo e de jure condendo, attesa l'mprescindibilità di un iniziale passaggio cautelare, che si riconosca, siccome suggerisce autorevole dottrina, "la competenza di funzionari subalterni, considerando anche che trattasi di attività non molto dissimile dall'esecuzione del pignoramento, pur affidata all'ufficiale giudiziario"11) .
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Ancorchè in un quadro piuttosto frammentato, la ricerca ha evidenziato che "è frequente nella prassi che, in sede di apposizione dei sigilli o di inventario, taluni beni, rinvenuti nell'abitazione del fallito e/o nella sua disponibilità, sono riconosciuti, in via breve, come beni non compresi nel fallimento. L'estraneità alla massa fallimentare è ritenuta, il più delle volte, sulla base di una scrittura privata con data certa, da cui risulti la proprietà di un terzo o di un convivente, ovvero sulla base di una situazione di fatto, da cui appaia ictu oculi la proprietà di un terzo".
Il risultato dell'indagine testè riferito involge un profilo doppiamente problematico, attinente, in primo luogo, alla determinazione dell'esatto significato della presunzione di appartenenza ex art. 513 c.p.c., in secondo luogo, all'individuazione del momento procedurale istituzionalmente deputato alla vaglio delle pretese dei terzi.
E' a dirsi, previamente, in relazione alla quaestio dapprima prefigurata, che costituisce opinione pacificamente condivisa quella per cui altresì in sede fallimentare debba trovar applicazione la disposizione di cui all'art. 513 c.p.c. in virtù della quale, appunto, si presumono di spettanza del fallito i beni mobili collocati nella sua casa12) "e negli altri luoghi a lui appartenenti"13) .
Più esattamente la presunzione è da intendere quale presunzione di possesso, non già di mera detenzione14) ed in tal guisa si ricollega, in chiave sistematica, al disposto dell'art. 1141, co. 1, prima parte, c.c.15) . Ne consegue, ulteriormente, che detta presunzione, operando a vantaggio di chi è in relazione diretta ed immediata con la res e non già di chi è in rapporto mediato con il bene, onera il terzo che, a sua volta, si afferma possessore, della dimostrazione del proprio animus possidendi ovvero, in aderenza al dettato normativo, della disponibilità nomine alieno della res da parte di colui che vi è in relazione di fisica contiguità16) .
Emerge, nondimeno, in relazione alla prova contraria che l'una e l'altra presunzione facultano, un significativa differenza.
La prova contraria alla presunzione juris tantum stabilita dall'art. 1141, co. 1, c.c. può essere costituita anche da presunzioni semplici e persino da una sola presunzione, purchè grave e precisa17) . La prova contraria che l'art. 513 c.p.c. postula, è ben più gravosa in relazione ai mezzi con cui può essere assolta: il principio che estende al ceto creditorio fallimentare la protezione accordata dal diritto comune al creditore pignorante18) , importa che "devono essere tenute presenti tutte le modificazioni, che il diritto probatorio comune subisce quando la prova deve essere data da o contro chi è terzo rispetto al thema probandum"19) ; ne deriva, in particolare, l'operatività a pieno titolo della disposizione di cui all'art. 621 c.p.c. e, dunque, il divieto della prova per testimoni20) ed, ex art. 2729, co. 2, c.c., della prova presuntiva. Più esattamente, siccome si è puntualizzato in dottrina, onde vincere la presunzione di cui all'art. 513 c.p.c., il terzo innanzitutto, "deve allegare e provare di essere divenuto proprietario dei beni in epoca anteriore all'inizio della procedura"21) ; in secondo luogo, "deve allegare e provare di essere rimasto proprietario sino al momento nel quale la procedura ha avuto inizio"22) ovvero, evidentemente mercè allegazione di un documento23) avente data certa anteriore al fallimento, di aver trasmesso la detenzione al fallito con un idoneo "titolo di affidamento", "capace di giustificare la detenzione a titolo diverso da quello di proprietà"24) .
Il profilo controverso prefigurato in seconda battuta, in considerazione della peculiare pregnanza dell'onere probatorio che il terzo ha da assolvere e, prim'ancora, del rigoroso sistema delle attribuzioni, nel cui ambito ogni determinazione è ineludibilmente rimessa, nella coralità del rito che segna il concorso formale, all'organo giurisdizionale, non può che postulare un'unica soluzione ovvero la soluzione patrocinata dal giudice del diritto25) , alla cui stregua la sottoposizione ad inventario del bene rinvenuto nella disponibilità del fallito prescinde da qualsivoglia accertamento in ordine alla titolarità della proprietà in capo al fallito stesso, ancorchè non valga a pregiudicare la pretesa che, al contempo, il terzo affermi a suo vantaggio, pretesa, da azionare, nondimeno, nelle forme di cui all'art. 103 l.f..
Parallelamente, si impone recisa censura per gli atteggiamenti applicativi di segno contrario26) e ciò tanto più se si tien conto che la massiccia elusione della preliminare incombenza della sigillazione, che pur varrebbe ad assicurare la partecipazione dell'organo giudiziario alla fase prodromica della identificazione del patrimonio da subastare, importa l'integrale dismissione della potestas decidendi a vantaggio dell'organo esecutivo della procedura.
Certo, è innegabile, qualche perplessità residua, pur nel solco dell'interpretazione condivisa, limitatamente a quei beni, pur rinvenuti nell'abitazione del fallito o, comunque, in altro loco sottoposto alla sua signoria, che ictu oculi appaiono di proprietà di terzi.
Ciò nonostante e, benvero, al di là del rilievo per cui solo la "restaurazione" del passaggio iniziale dell'apposizione dei sigilli, col sostanziale recupero dell'attivo concorso del g.d., potrebbe legittimare un qualche temperamento, va debitamente sottolineato che nessun ancoraggio rinviene nel sistema degli artt. 769 e segg. c.p.c., cui l'art. 87, co. 1, l.f. rinvia espressamente, la sottrazione all'inventariazione dei beni palesamente di spettanza di terzi. Valenza concludente in tal senso riveste la constatazione per cui, in ipotesi di contestazione circa l'opportunità di inventariare un data res, all'ufficiale procedente è preclusa ogni determinazione, tant'è che, operatane la descrizione, è abilitato esclusivamente a far menzione nel processo verbale delle osservazioni e delle istanze delle parti (art. 775, u.c., c.p.c.).
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In relazione ai beni collocati presso soggetti terzi (recte: nella materiale disponibilità di soggetti terzi) merita plauso senza dubbio la prassi applicativa, registrata in via prevalente, che esclude dall'inventariazione, disconoscendo la titolarità di poteri di autotutela esecutiva in capo all'ufficio fallimentare e così onerandolo della proposizione di ordinaria azione di cognizione ovvero di prodromica iniziativa cautelare innanzi al giudice competente, i beni di cui il terzo, sulla scorta di un titolo ritenuto, ex latere curatoris, inopponibile alla procedura27) , rifiuti, al limite pur riconoscendo la proprietà del fallito, il rilascio, adducendo un proprio diritto personale o reale a possedere ovvero a detenere. La soluzione operativa rilevata in via prioritaria, che esclude l'esperibilità di poteri di apprensione forzosa, parimenti va giudicata con favore, per giunta allorchè il terzo che rifiuta la consegna della res al curatore, non prospetti alcun titolo a fondamento della materiale disponibilità del bene che ex adverso si assume di proprietà del fallito28) .
La circostanza che a dirigere la procedura sia un organo giurisdizionale, ingenera, sovente, l'equivoco alla cui stregua la salvaguardia e la conservazione del patrimonio attivo possa realizzarsi "in via breve": gli atteggiamenti, di segno contrario, segnatamente le opzioni favorevoli all'apprensione forzosa, se del caso con l'ausilio della forza pubblica, di fatto connotano il fallimento come legibus solutus, in patente violazione del principio di legalità che informa pur l'azione giurisdizionale (art. 101, co. 2, Cost.) e, segnatamente, del disposto dell'art. 474 c.p.c. che ammette la coartazione della volontà del debitore sol sulla scorta di un titolo esecutivo ovvero di una sentenza o di un provvedimento cui la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva. E tale non è il caso del decreto ex art. 25, co. 1, n. 2, l.f., eventualmente assunto onde dar fondamento giuridico alla coattiva, se del caso previa inventariazione, acquisizione delle res nella disponibilità di terzi dissenzienti.
Certo, può correttamente opinarsi che il decreto di cui all'art. 87, co. 1, l.f., con cui il g.d. autorizza il curatore a fare l'inventario, rinvenga la sua matrice nella previsione dell'art. 25, co. 1, n. 2, del r.d. n. 267/'42. Nondimeno, l'insegnamento giurisprudenziale oramai consolidato ha chiarito che i cosiddetti "decreti di acquisizione", il cui fondamento positivo è da ravvisare, appunto, nel disposto normativo da ultimo citato, possono essere emessi con riferimento ai beni del fallito esclusi dall'inventario, con riferimento ai beni sopravvenuti nel patrimonio staggito durante il fallimento e -con specifica valenza in relazione al profilo in esame- con riferimento ai beni che il terzo consenta di consegnare al curatore; i decreti de quibus, viceversa, non possono essere emessi con riferimento ai beni nella disponibilità del terzo il quale rivendichi sul bene medesimo un diritto incompatibile con la loro inclusione nell'attivo fallimentare29) . Nei medesimi termini e parallelamente, dunque, dovrebbe determinarsi l'ambito oggettivo della inventariazione, in quanto a sua volta prodromica alla presa in consegna dei beni30) ("il curatore prende in consegna i beni di mano in mano che ne fa l'inventario....": art. 88, co. 1, l.f.).
Pur tuttavia, non sembra che dei beni di cui il terzo rifiuti il rilascio possa disconoscersi, quanto meno, la legittimità della descrizione nel processo verbale d'inventario: soccorre all'uopo la previsione dell'art. 775, u.c., c.p.c.; ovviamente, in tale ipotesi l'inventariazione non prelude all'acquisto del possesso da parte del curatore. E, d'altro canto, potrebbe ammettersi che il bene, opportunamente descritto, di cui il terzo rifiuti il rilascio, recte il credito a conseguire la restituzione della res di cui il terzo rifiuti il rilascio, sia incluso nel verbale d'inventario quale altra attività a norma del n. 4 del co. 1 del medesimo art. 775 c.p.c..
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L'opinione dottrinaria prevalente reputa che alla disciplina della vendita fallimentare della quota di partecipazione in società a responsabilità limitata concorra la disposizione di cui all'art. 2480 c.c.31) .
Più esattamente, si opina nel senso che la notificazione, di cui all'art. 2480, co. 2, c.c., del provvedimento del g.d. che dispone la vendita, seppur su iniziativa del curatore, debba esser eseguita in ogni caso, anche nell'ipotesi in cui la quota sia liberamente trasferibile32) .
In tal guisa riceve sicuro suggello l'indirizzo applicativo maggioritario, favorevole in via sistematica al compimento del preliminare atto partecipativo.
Non è a tacersi, tuttavia, che un'indicazione interpretativa del giudice di legittimità prefigura l'operatività in sede fallimentare unicamente del dettato del co. 3 dell'art. 2480 c.c., alla stregua del testuale tenore del co. 4 del medesimo articolo, che dispone per l'applicazione al fallimento del socio delle disposizioni del comma precedente33) .
Riceve in tal guisa conforto esegetico pur l'indirizzo di minoranza che circoscrive l'ambito dell'onere di notificazione alla sola evenienza di acquisizione all'attivo fallimentare di quota non liberamente trasferibile, giacchè il medesimo onere sarebbe in stretta connessione funzionale col modus procedendi contemplato al co. 34) .
E' a condividersi, sotto altro profilo, l'assunto dottrinario secondo cui l'accordo eventualmente raggiunto tra il curatore, debitamente autorizzato dal g.d., e la società circa la persona dell'acquirente, preclude senz'altro la vendita, eventualmente all'incanto, della quota. Nondimeno, se la trattativa tra società e curatore non sortisce buon esito, è a negarsi che la vendita possa seguire, siccome prescrive l'art. 2480. co. 3, c.c., esclusivamente con incanto: invero la previsione dell'art. 106, co. 1, l.f., la cui portata generale integra senza dubbio l'efficacia precettiva della disposizione del codice civile, induce a riconoscere che la liquidazione possa compiersi, altresì, secondo il modulo della vendita ad offerte private35) .
In questi termini non appare contra legem la prassi, registrata in verità in misura minoritaria, che, in difetto di accordo, ammette la possibilità che la quota sia alienata a trattativa privata36) .

NOTE:

1)Così Ricci, Lezioni sul fallimento, II, Milano, 1998, pag. 1.
2) Così Ricci, Lezioni sul fallimento, II, op. cit., pag. 1.
3) Così Ricci, Lezioni sul fallimento, II, op. cit., pag. 2.
4)"........il problema di sapere, a chi spetti (alla data della sentenza dichiarativa di fallimento) il bene a volta a volta preso in considerazione, ha importanza decisiva per la inclusione dello stesso bene nell'iniziale oggetto della procedura; e la disciplina del fallimento risente per derivationem di tutte le incertezze, che a questo proposito possono sorgere sul terreno dello stretto diritto civile": così Ricci, Lezioni sul fallimento, II, op. cit., pag. 9.
5) Si è assunto, quasi a legittimare la prassi che pretermette la previa sigillazione, che l'art. 762, co. 1, c.p.c., ancorchè vieti la redazione dell'inventario prima del decorso del termine di tre giorni dall'apposizione dei sigilli e, quindi, prima della sigillazione, nondimeno contempla la possibilità che per ragioni urgenti si stabilisca altrimenti con decreto motivato. In verità la corretta esegesi del testo codicistico induce a riconoscere che la deroga non concerne la preventiva necessità della sigillazione, sibbene, unicamente, l'operatività del termine dilatorio.
Nè, al contempo, in chiave legittimante, può soccorrere il disposto dell'art. 760, co. 2, c.p.c., alla cui stregua, una volta eseguito l'inventario, non si fa luogo all'apposizione dei sigilli. Invero, la successione delle diverse fasi procedimentali e, con essa, il previo esperimento della sigillazione risultano scandite inequivocamente dalla legge fallimentare, con la peculiare variante, in rapporto al termine dilatorio di tre giorni di cui all'art. 762, co. 1, prima parte, c.p.c., che la rimozione dei sigilli e l'inventariazione deve, a norma dell'art. 87, co. 1, l.f., seguire "nel più breve termine possibile".
6) Circa la finalità cautelare della sigillazione cfr. Cass. 22.10.'92, n. 11537, in Il fall. 1993, 495, secondo cui l'art. 84 l.f. contempla una misura interinale e temporanea con funzione cautelare dei beni del fallito fino alla redazione dell'inventario. In dottrina, in tal senso, tra gli altri, Ragusa Maggiore, Diritto fallimentare, Napoli, 1977, 323; Mazzocca, Manuale di diritto fallimentare, Napoli, 1986, pag. 349.
7) "L'inventario ha una duplice funzione. In primo luogo è diretto ad individuare, elencare, descrivere e valutare nella loro esatta e precisa consistenza i beni compresi nel fallimento. In secondo luogo l'inventario implica la presa in consegna, ad opera del curatore, dei beni inventariati e la sua responsabilità in ordine alla loro custodia": così Codice del Fallimento, a cura di Pajardi, Milano, 1994, pag. 370. Con l'inventario, dunque, si adegua la realtà di fatto a quella giuridica ovvero lo status facti alla perdita del potere di amministrazione e disposizione del proprio patrimonio destinata a prodursi, per il fallito, a decorrere dalla data della dichiarazione di fallimento. In questi termini la sigillazione salvaguarda, interinalmente, quell'effetto di conformazione che l'inventariazione determina.
Va debitamente segnalato che il tribunale di Alessandria, con ordinanza del 7.4.'93 (in Dir. fall. 1993, II, 414) ebbe a sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 84 l.f., in relazione agli artt. 3 e 97 Cost., nella parte in cui la disposizione denunziata non prevede che il g.d. possa autorizzare il curatore a redigere immediatamente l'inventario senza la preventiva apposizione dei sigilli, ove quest'ultima, alla stregua degli atti, risulti impossibile o superflua. La Corte costituzionale, con statuizione del 3.3.'94, n. 71 (in Dir. fall. 1994, II, 682, con nota di Ragusa Maggiore, Inventario e sigillazione: una questione sulla natura degli istituti) ebbe a dichiarare l'inammissibilità della quaestio, reputando che la censura prefigurata sollecitava l'opportunità di una riforma della disciplina positiva, rimessa alla discrezionale valutazione del legislatore.
8) Siffatto momento si identifica con la data della sua pubblicazione mercè il deposito in cancelleria e non già con la data della sua deliberazione: cfr. in tal senso Cass. 22.11.'91, n.12573, in Dir. fall. 1992, II, 734; Cass. 16.4.'92, n. 4705, in Il fall. 1992, 911.
9) L'accettazione costituisce requisito estrinseco di efficacia della nomina.
10) La sentenza che dichiara il fallimento è comunicata per estratto, tra gli altri, al curatore entro il giorno successivo alla sua data: art. 17, co. 1, l.f.; il curatore, entro i due giorni successivi alla partecipazione della sua nomina, deve comunicare al giudice delegato la sua accettazione: art. 29, co. 1, l.f...
11) Così Mazzocca, Manuale di diritto fallimentare, op. cit., pagg. 350-351. L'A. precisa che la competenza del g.d. in tema di sigillazione "è eccessiva, trattandosi di un atto che non richiede particolari qualificazioni giuridiche, anche per il lievissimo margine di discrezionalità connesso all'operazione"; al contempo, potrebbe sancirsi la competenza del giudice delegato per gli incidenti eventualmente determinatisi in sede di attuazione della cautela, perpetuandone, altresì, la potestà in tema di vendita di cose detoriorabili.
12) Per "casa del debitore", ai sensi degli artt. 513, 621, e 622 c.p.c., deve intendersi quella in cui egli abita di fatto e stabilmente, ancorchè altri ne sia proprietario o eserciti su di essa diritti reali o di godimento: cfr. in tal senso Cass. 25.1.'79, n. 579.
13) Cfr. Ricci, Lezioni sul fallimento, II, op. cit., pag. 11. La giurisprudenza, dal canto suo, ribadisce costantemente che trattasi di presunzione iuris tantum: cfr. in tal senso, tra le altre, Cass. 20.5.'87, n. 4616, in Rep. Foro it. 1987, voce Esecuzione in genere, n. 58.
14) La detenzione è "la disponibilità di fatto della cosa in nome altrui. L'espressione in nome altrui vale ad indicare che il potere sulla cosa è subordinato al potere di un altro soggetto, il possessore, e dipende da quest'ultimo in termini di autorizzazione, concessione, ecc.": così Bianca, Diritto civile, 6, La proprietà, Milano, 1999, pag. 725.
15) Il possesso, secondo la dizione testuale dell'art. 1141, co. 1, c.c., si presume in chi esercita il potere di fatto sulla cosa, sia cioè in relazione di contiguità fisica con la stessa.
16) Cfr. in tal senso Cass. 25.5.'87, n. 4698, in Rep. Foro it. 1987, voce Possesso, n. 7.
17) Cfr. in tal senso Cass. 21.6.'85, n. 3721, in Giust. civ. Rep. 1985, voce Possesso, n. 3.
18) Il principio fonda positivamente sul disposto dell'art. 45 l.f.. Siffatta norma riguarda non solo gli atti posti in essere dal fallito, ma, in generale, tutti quelli che interessino il fallito e possano opporsi ai creditori, da chiunque compiuti. La medesima previsione legislativa costituisce applicazione in campo fallimentare delle regole generali dui agli artt. 2914 e 2915 c.c.: cfr. in tal senso Cass. 5.6.'87, n. 4915, in Il fall. 1987, 1168.
19) Così Ricci, Lezioni sul fallimento, II, op. cit., pag. 205.
20) Cfr. in tal senso, tra le altre, trib. Venezia 6.9.'85, in Il fall. 1986, 117.
21) Così Ricci, Lezioni sul fallimento, II, op. cit., pag. 12.
22) Così Ricci, Lezioni sul fallimento, II, op. cit., pag. 12.
23) Spiega efficacemente il Ricci -Lezioni sul fallimento, II, op. cit., pag. 27- che, potendo essee muniti di data certa soltanto i documenti, la norma di cui all'art. 45 l.f. sacrifica in ogni caso il terzo titolare del diritto che sia divenuto tale in virtù di un negozio stipulato oralmente, pur quando la scrittura non sia richiesta ad substantiam. "Il carattere orale della stipulazione....... pone il terzo nella condizione di non poter eseguire la formalità (attribuzione della data certa alla scrittura), dalla quale dipende la sua prevalenza verso i terzi, e quindi anche la sua prevalenza sul ceto creditorio. Si può allora dire che, quando la legge richiede la attribuzione della data certa ad un documento come formalità necessaria, anche la confezione della scrittura fa parte della formalità in questione".
24) Così Ricci, Lezioni sul fallimento, II, op. cit., pag. 12.
25) Cfr. Cass. 10.3.'95, n. 2791, in Il fall. 1995, 1043. In senso analogo cfr. trib. Treviso 9.1.'98, in Il fall. 1998, 1172, ove leggesi testualmente: "...... il curatore.... deve... prendere in consegna i beni che vengono via via inventariati...; e tali beni sono tutti quelli che si trovano nella sede principale dell'impresa e negli altri luoghi che siano nella disponibilità del fallito, sicchè deve ritenersi non solo legittima, ma anzi doverosa l'apprensione.... da parte del curatore anche dei beni che, in ipotesi, risultino acquistati con patto di riserva della proprietà".
26) Si allude, ante omnia, a quel 45.90% che esclude dall'inventariazione i beni di cui il terzo si affermi proprietario, all'uopo esibendo documentazione avente data certa anteriore al fallimento.
27) Con riferimento ai beni mobili ritenuti di proprietà del fallito, ma posseduti o detenuti da terzi i quali non contestino il diritto del fallito (e, dunque, l'appartenenza al fallimento), nondimeno rifiutandone la consegna al curatore, all'uopo allegando un proprio diritto personale o reale a possedere o detenere i beni, in virtù di un titolo ritenuto dagli organi fallimentari opponibile alla massa, la prassi riscontrata in via nettamente prevalente (50,81%) è nel senso che il curatore proceda, comunque, all'inventario, lasciando, tuttavia, le res nella disponibilità dei terzi.
28) Si tenga conto che, al gravoso onere probatorio che grava sull'attore in rivendicazione (cosiddetta probatio diabolica), non corrisponde onere probatorio alcuno per il convenuto, il quale può trincerarsi dietro il possideo quia possideo: cfr. in tal senso Cass. 13.4.'87, n. 3669, in Rep. Foro it. 1987, voce Proprietà (azioni a difesa), n. 4. Al riguardo va precisato che che il codice civile del '42 non recepito la disposizione di cui all'art. 687, co. 1, del codice del 1865, ove era sancita la presunzione del possesso a titolo di proprietà: siffatta presunzione esonerava il possessore dalla prova di aver esercitato il possesso in qualità di proprietario. Nondimeno, spiega autorevole dottrina, che "questa prova non è però richiesta neppure dal codice vigente. Chi infatti prova di avere la disponibilità di fatto della cosa ha per ciò stesso provato una situazione corrispondente all'esercizio del diritto di propietà": così Bianca, Diritto civile, 6, La proprietà, op. cit., pagg. 784-785.
29) Cfr. in tal senso trib. Torino 19.3.'90, in Dir. fall. 1990, II, 1183; Cass. 14.7.'97, n. 6353, in Il fall. 1998, 178. L'emanazione del decreto al di fuori delle ipotesi enunciate, ne determina, quale atto abnorme, la giuridica inesistenza, con la conseguenza che avverso il medesimo provvedimento il terzo potrà in ogni tempo esperire l'actio nullitatis ovvero un'ordinaria azione di accertamento colta a conseguire declaratoria di inesistenza del decreto medeimo: cfr. in tal senso Cass. 14.7.'97, n. 6353, cit.; Cass. 2.9.'96, n. 8004, in Il Fall. 1997, 486.
30) Cfr. trib. Roma 21.2.'95, in Dir. fall. 1995, II, 283, ove si precisa che dall'inventariazione vanno esclusi i beni posseduti da terzi, che rifiutano di farne esibizione al curatore ai fini dell'acquisizione.
31) Cfr. in tal senso Santini, Società a responsabilità limitata, in Commentario del Codice Civile Scialoja-Branca, Bologna, 1992, pag. 166. L'A. spiega, preliminarmente, "che l'espropriazione delle quote sociali nel nostro ordinamento integra un'ipotesi tipica di espropriazione forzata di un contratto (o meglio di rapporti contrattuali unitariamente intesi). Per essa valgono le norme processuali dell'espropriazione mobiliare indiretta, in quanto applicabili". Si veda, altresì, Cass. 12.12.'86, n. 7409, in Foro it. 1987, I, 1101, secondo cui la quota sociale della società a responsabilità limitata -non essendo incorporata in una azione e, quindi, in un documento avente natura di cosa materiale- è bene immateriale equiparato, ex art. 812 c.c., al bene mobile materiale (non iscritto in pubblico registro) e resta sottoposta alla disciplina legislativa di questa categoria di beni. Tuttavia, stante la necessità della collaborazione degli organi sociali ai fini dell'individuazione della quota, il pignoramento della quota stessa deve avvenire nella forma del pignoramento presso terzi.
32) Cfr. in tal senso Lo Cascio, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Milano, 1998, pag. 431. La notificazione di cui all'art. 2480, co. 2, c.c. è intesa a mò di invito, rivolto alla società, a far partecipare alla vendita persona ad essa gradita.
33) Si allude a Cass. 3.4.'91, n. 3482, in Foro it. 1992, I, 842, con nota, Inapplicabilità dell'art. 2480 c.c. in presenza di una clausola di prelazione al trasferimento di quote di s.r.l.?, di Meli.
34) Con riferimento all'ambito di applicazione del co. 3 dell'art. 2480 c.c. la Suprema Corte, con la citata statuizione del 3.4.'91, n. 3482, ha, tra le altre, così enunciato le caratteristiche essenziali del limite all'alienabilità delle quote, atto a trovare corrispondente tutela nella previsione dell'art. 2480, co. 3, c.c.: "A) l'opponibilità del limite ai terzi.....; B) la titolarità dell'interesse sostanziale, tutelato con la forma procedurae in esame, da arte della società, non già dei soci uti singuli,......; ne deriva che limitazioni, ancorchè ad effetto reale, in quanto risultanti dal contratto sociale, previste nel solo interesse dei soci ed aventi natura di patto parasociale incluso nel contratto di società......., esulerebbero dalla fattispecie procedurale dell'articolo in esame;.....". Su scorta di tali rilievi il giudice del diritto ha reputato che le clausole di gradimento, se ed in quanto rispondenti all'interesse della società, rendono operante il limite all'alienabilità di cui all'art. 2480, co. 3, c.c.. "A diversa conclusione deve giungersi, invece, per le clausole di prelazione......... , in quanto la relativa limitazione è posta essenzialmente nell'interesse dei soci, ai quali solo il diritto di prelazione compete e giova, sia nell'ipotesi in cui la prelazione sia prevista in favore di un socio qualsiasi, sia quando..... essa vantaggi vincolativamente tutti i soci in funzione delle rispettive quote": così Cass. 3.4.'91, n. 3482, cit..
35) In senso contrario, tuttavia, Cass. 3.4.'91, n. 3482, cit., ove, in motivazione, si assume che la norma speciale di cui all'art. 2480, co. 3, c.c. importi deroga alla disciplina di cui all'art. 106 l.f.. Si tenga conto, in ogni caso, che, a norma dell'art. 2480, co. 3, seconda parte, c.c., "la vendita è priva di effetto se, entro dieci giorni dall'aggiudicazione, la società presenta un altro acquirente che offra lo stesso prezzo".
36) "Occorre sottolineare che la presentazione di un altro acquirente non dà luogo a rinnovazione della vendita della quota, ma alla sostituzione automatica del primo aggiudicatario con il compratore designato dalla società, alle stesse condizioni e termine di pagamento del prezzo fissati nel provvedimento del giudice delegato": così Codice del Fallimento, a cura di Pajardi, op. cit., pag. 474.

 












 

 

 


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