|  IL FALLITO E LA SUA PROCEDURA
 dedicato agli studi in onore di Giuseppe Ragusa Maggiore
 
         DOMENICO 
                    MAZZOCCAPresidente 
                    della Corte di Appello di Salerno
   La 
                    figura del debitore, anche al di là della sfera giuridica, 
                    ha una pregnante connotazione negativa, che, se può 
                    trovare una certa motivazione generale nel suo inadempimento, 
                    quale atto certamente contrario al fisiologico sviluppo 
                    dei rapporti economici e sociali (che trascende la sfera dello 
                    stesso creditore, quale soggetto danneggiato) si materializza 
                    nellanimo di qualsiasi individuo, che avverte più 
                    o meno coscientemente, un pericolo per se stesso, in quanto 
                    partecipe allaggregato sociale (come in materia penale 
                    ogni reato incide sulla coscienza generale). Non 
                    è qui il caso di attardarsi a ricordare quale trattamento 
                    avesse il debitore inadempiente in tempi che, benché 
                    remoti, vantavano già un ordinamento giuridico, 
                    quale quello del diritto romano, che pur riconosceva al creditore 
                    insoddisfatto quel diritto sulla persona che comprendeva elementi 
                    di vendetta più che di reintegrazione patrimoniale 
                    e di sanzione giuridica. Tale 
                    considerazione del debitore, che non intendiamo neppure definire 
                    pregiudizio, avendo pur sempre un valore positivo ogni ripulsa 
                    di atti che violano diritti altrui, ha permeato conseguentemente 
                    in maniera massiccia la persona del fallito fin da quando 
                    in epoca di mezzo, si manifestò lembrione 
                    della procedura concorsuale, mentre già il nostro Paese 
                    si illuminava della grandezza del rinascimento, che non esauriva 
                    i suoi effetti nel mondo delle belle arti, ma restituiva dignità 
                    alluomo ed alla sua interiorità. E 
                    nozione elementare che il termine fallire derivi etimologicamente 
                    da fallare (con iI suo intenso significato che è ingannare) 
                    e che si riteneva decoctor ergo fraudator, attribuendosi 
                    con mano pesante al fallito qua e là diverse ma 
                    pur sempre pesanti ed infamanti sanzioni. Come 
                    è noto, in tal periodo Ia bancarotta suscitava un giustificato 
                    allarme che si era al primo evolversi dei rapporti commerciali 
                    intesi in senso più moderno. La 
                    civiltà poi si evolveva, raggiungendo i traguardi importanti, 
                    ma non sempre confortanti, dellera industriale e post-industriale, nella 
                    quale ultima ci andiamo incamminando con speranze ma anche 
                    preoccupazioni.  
                    Gli ordinamenti giuridici nel contempo si perfezionavano e 
                    raffiguravano ed anche e particolarmente in diritto penale 
                    prevalevano i principi garantistici.  
                    Viene però di chiedersi sino a che punto è veramente 
                    mutato latteggiamento sociale e degli operatori 
                    verso il fallito (termine che nel linguaggio comune costituisce 
                    ancora uningiuria grave anche fuori del mondo commerciale).  
                    Non saremo però certo noi a volere manifestare una 
                    semplicistica commiserazione emotiva a favore del fallito, 
                    avendo, anzi, in più occasioni espressa la nostra preoccupazione 
                    per il fatto che gli ordinamenti giuridici, anche sotto Ia 
                    spinta di esasperati orientamenti garantistici, finiscono 
                    talvolta con lassicurare più tutela concreta 
                    al debitore (in campo civilistico ) o aIlimputato 
                    (in quello penalistico) che rispettivamente al creditore ed 
                    alla parte lesa.  
                    Non è questa Ia sede per diffondersi sul fatto che, 
                    anzi, i ritardi cronici della giustizia, almeno nel nostro 
                    paese, nella realtà già concedendo un vantaggio 
                    basso il tasso degli interessi Iegali (con grave sproporzione 
                    rispetto a quelli commerciali), ha contribuito a suscitare 
                    atteggiamenti dolosi di inadempienza, in considerazione 
                    dei tempi del giudizio e laumento del tasso dal precedente 
                    5 per cento al 10 per cento, ha solo ridotto leffetto 
                    nefasto. Buon 
                    senso, però, vuole che non si generalizzi in senso 
                    negativo rispetto allo status (1) di fallito, in quanto, come 
                    per ogni stato personale, cè ampia diversificazione 
                    dei soggetti sul piano morale.  
                    Può partirsi dal dato sostanziale che quel particolare 
                    debitore che è il fallito è soggetto passivo 
                    (2) del fallimento sia sul piano personale che patrimoniale, 
                    con indiscutibile interesse, rilevante anche sul piano giuridico, 
                    al miglior svolgimento della procedura esecutiva che lo coinvolge. Consegue 
                    che non ci sembra azzardato affermare che, a prescindere anche 
                    dalleventuale opportunità di modifica di alcune 
                    norme che lo riguardano, nella prassi spesso venga data 
                    aI fallito minore attenzione di quanto sarebbe giusto 
                    e, peraltro, opportuno nellinteresse stesso del fallimento 
                    per i contributi di esperienza e notizie che lex imprenditore 
                    potrebbe dare. Nella 
                    nostra lunga esperienza giudiziaria, anzi, non raramente abbiamo 
                    incontrato qualche poco esperto curatore che si vantava di 
                    tenere a distanza il fallito, quasi che fosse da considerare 
                    un untore, per il rischio di sospetti di rapporti scorretti 
                    o illeciti. Tale 
                    inconveniente si verifica soprattutto nella prima fase del 
                    fallimento e poco conta iI fatto che non pochi falliti mostrano 
                    a loro volta uguale disinteresse e talvolta tentino di 
                    sottrarsi allincontro per occultare illeciti atti precedenti 
                    o esistenza di beni, persino immobili, che per la loro ubicazione 
                    potrebbero sfuggire allautonoma (e talvolta non attenta) 
                    ricerca del curatore (qualche volta fortuitamente e fortunosamente 
                    furono appresi beni anche nelle more della chiusura della 
                    procedura). Nella 
                    procedura di accertamento dei crediti (che innegabilmente 
                    è una delle fasi più delicate del fallimento) 
                    si palesa appieno in molti casi la dannosa mancanza di 
                    congrui contatti tra il fallito ed il curatore, a cui, peraltro, 
                    un solerte giudice delegato con i suoi poteri coercitivi potrebbe 
                    almeno parzialmente ovviare, cosa che purtroppo non sempre 
                    avviene anche per il ponderoso carico di lavoro che opprime 
                    gli uffici fallimentari, specie in tribunali importanti (a 
                    parte la diffidenza eccessiva che qualche volta anima anche 
                    il giudice delegato) (3).  
                    Così la verifica dei crediti avviene quasi a tentoni 
                    sulla scorta solo della documentazione, spesso equivoca, offerta 
                    (quando ciò avviene) dagli istanti. Siamo dellopinione 
                    che una più larga e convinta collabonazione, portando 
                    a più esatte conclusioni, limiterebbe notevolmente 
                    il numero delle opposizioni allo stato passivo, con evidente 
                    beneficio dello stesso ufficio ed mediatamente dei creditoni, 
                    anche quanto ai tempi della procedura.  
                    Del resto trattasi solo di rendere più operante Ia 
                    disposizione contenuta dallart. 95 legge fallim. che 
                    richiede che venga sentito iI fallito. Nel 
                    corso della procedura il fallito rimane ai margini senza possibilità 
                    di alcun concreto intervento, salvo sempre la possibilità 
                    di fare segnalazioni al giudice.  
                    La sua stessa tutela giudiziaria è estremamente limitata, 
                    salvo che per i diritti personali. Alla 
                    perdita del diritto di disporre corrisponde laltro effetto 
                    della perdita della capacità processuale. Lincapacità, 
                    pur non avendo carattere generale (non dipendente da 
                    unincapacità completa) è estremamente 
                    ampia. Fa 
                    eccezione, oltre i casi previsti espressamente dalla legge 
                    e che trovano giustificazione proprio nella dichiarazione 
                    di fallimento (come è a dirsi per i giudizi di opposizione 
                    alla dichiarazione di fallimento, di omologazione del 
                    concordato o relativi a pochi atti della procedura), solo 
                    la possibilità di tutela dei beni personali ed inespropriabili. De 
                    jure condendo potrebbe trovare maggiore attenzione linteresse 
                    del fallito, che, per la sostituzione processuale del curatore, 
                    ha possibiltà di azione molto minore di un comune debitore 
                    assoggettato ad esecuzione individuale. Alla 
                    pur ragionevole limitazione, ancora più grave in relazione 
                    agli atti del curatore che il fallito dovesse ritenere illegittimi 
                    anche sul piano formale (opposizioni ex art. 717 cod. proc. 
                    civ,), corrisponde unancora più drastica esclusione 
                    della facoltà di intervenire in giudizio.  
                    Lart. 43 legge fallim. drasticamente limita Ia possibilità 
                    di intervento «salvo per le questioni dalle quali può 
                    dipendere un imputazione di bancarotta a suo carico 
                    o se lintervento è previsto dalla legge». Prescindendo 
                    dallesplicita previsione legislativa limitata a pochi 
                    casi rientranti nella dinamica del fallimenro, riteniamo eccessiva 
                    Ia limitazione allipotesi di bancarotta. Innanzitutto 
                    in via generale ci sembra che, a parte lindicato fenomeno 
                    di sostituzione processuale, se unopportuna limitazione 
                    alla legittimazione processuale del fallito a promuovere giudizi 
                    si giustifica anche sul piano pratico per il pericolo che 
                    la procedura possa subire ingiustificati ritardi per la definizione 
                    di giudizi voluti dal fallito solo per guadagnare tempo ai 
                    più vari e non confessabili 
                    fini, tale rischio è molto ridotto quando il giudizio 
                    sia stato già ritenuto opportuno dallufficio 
                    fallimentare, o comunque instaurato da un terzo. Il 
                    problema non può che affidarsi al legislatore per qualche 
                    sia pur parziale correttivo. Premesso 
                    che la specifica indicazione dellipotesi di bancarotta 
                    non ha consentito interpretazioni giurisprudenziali elastiche 
                    (4), riteniamo che potrebbe allargarsi la previsione a qualche 
                    altro reato. Considerando 
                    poi, le possibili aspettative del fallito sul patrimonio (Ia 
                    cui amministrazione per effetto dello spossessamento è 
                    passata al curatore, sotto il controllo degli organi giurisprudenziali), 
                    esse sono assolutamente inconsistenti, salvo la ben rara evenienza 
                    di un supero. Se 
                    possono in certo senso rilevarsi le analogie con gli effetti 
                    del pignoramento nelle esecuzioni individuali, bisogna riconoscere 
                    che anche in presenza di un consistente patrimonio il fallito 
                    non può utilizzare neppure la minima parte di esso 
                    per le più urgenti necessità di vita proprie 
                    e della famiglia. Tale 
                    affermazione non sembra essere contraddetta dalla previsione 
                    degli alimenti riconosciuti dallart. 47 legge fallim. 
                    nel caso che il fallito non riesca a produrre reddito di lavoro.  
                    Invero la norma, come avemmo occasione di illustrare (5), 
                    non riconosce un vero diritto disponendo che il giudice 
                    delegato, sentito il curatore ed il comitato dei creditori, 
                    se è stato nominato, «può» concedere 
                    al fallito un sussidio a titolo di alimenti per lui e la famiglia.  
                    Trattasi pur sempre così di un potere discrezionale 
                    del giudice e se è vero che questo non può attuarsi 
                    in modo arbitrario ed irragionevole è da riconoscere 
                    che la legge a riguardo non assicura al fallito in concreto 
                    un potere forte. Indubbiamente 
                    non può essere consentito che per questa via (il sussidio 
                    può essere una tanturn o periodico) il fallito polverizzi 
                    quellattivo sul quale si puntano Ie più che legittime 
                    aspettative dei creditori, ma è tuttavia certo che 
                    il sussidio viene talvolta concesso con estremo rigore anche 
                    per i pareri non raramente contrari del comitato dei creditori 
                    e dettati in qualche occasione da pur comprensibile animosità 
                    verso il fallito. Rimanendo 
                    in tema di alimenti ex art. 47, sottoliniamo che il comma 
                    2 riconosce (a differenza che per gli alimenti) un vero diritto 
                    soggettivo alla conservazione dellabitazione per esso 
                    fallito e famiglia nella casa di sua proprietà, 
                    fino alla liquidazione totale delle attività, disponendo 
                    Ia norma che la casa «non può essere distratta 
                    sino a quellevento». Se 
                    la conclusione è condivisa anche dalla giurisprudenza 
                    (6), non si è mancato di ritenere, in senso riduttivo, 
                    che particolari esigenze della procedura possano autorizzare 
                    lufficio fallimenrare a procedere alla vendita della 
                    casa prima della fase finale. Premesso 
                    che la conservazione della casa è limitata alle effettive 
                    esigenze della famiglia e, quindi, può essere attuata 
                    anche in modo parziale, ove possibile, può venir 
                    meno, essendo pur sempre Ia disposizione inserita nellart. 
                    47 relativo agli alimenti, quando questa esigenza in concreto 
                    sia venuta a mancare, come nel caso del trasferimento di residenza 
                    del fallito o di sicura disponibilità da parte sua 
                    di casa altrui a titolo gratuito. Tuttavia, 
                    nei limiti operativi della neccssità, è certo 
                    che, come riconosce Ia giurisprudenza indicata, nel caso di 
                    stretta necessità per Ia procedura di liquidazione 
                    anticipata della casa, lamministrazione fallimentare, 
                    in sostituzione, è onorata del pagamento del canone 
                    della casa che il fallito prenderà in locazione (7), 
                    casa che dovrà pur sempre essere proporzionata alla 
                    effettiva necessità e che potrà essere 
                    ubicata anche in diversa zona cittadina, meno appetibile, 
                    purché non estremamente disagiata, tenendo anche conto 
                    dei bisogni dei familiari. Poiché 
                    il diritto allabitazione è posto anche a beneficio 
                    dei familiari del fallito, consegue che può essere 
                    vantato in caso di dichiarazione di fallimento di imprenditore 
                    deceduto (o di suo successivo decesso) anche dal coniuge non 
                    legalmente separato e dagli altri familiari conviventi. Allatto 
                    della vendita lufficio intima al fallito di lasciare 
                    la casa ed in caso di rifiuto, può procedere direttamente 
                    allesecuzione dellordine. Naturalmente 
                    il rifiuto sarebbe giustificato nel caso che la vendita non 
                    fosse stata eseguita nel rispetto delle condizioni previste. Più 
                    in generale per il mancato rilascio dellimmobile al 
                    terzo acquirente sorge un obbligo a risarcire il danno a carico 
                    del fallimento, venditore tenuto alla consegna, e del 
                    fallito per lilIegittimità del mancato rilascio 
                    (8). Non 
                    pare sostenibile poi che Ia disposizione contempli oltre limmobile 
                    anche i mobili arredanti Ia stessa, non essendo espressamente 
                    indicati e per i quali bisogna solo fare riferimento ai noti 
                    limiti di espropriabilità. Lart. 
                    46 legge fallim. precisa poi i beni non compresi nellacquisizione 
                    a fallimento. Al numero 1) sono indicati i beni ed i diritti 
                    di natura strettamente personale, la cui esclusione è 
                    giustificata proprio dallo stretto collegamento con la 
                    personalità del fallito, che rende preminente la natura 
                    e funzione loro rispetto al valore economico, che, comunque, 
                    deve sussistere occupandosi Ia norma di elementi patrimoniali 
                    sottratti ad una esecuzione coattiva. Non 
                    trattasi, peraltro, di una rilevanza del sentimento del solo 
                    fallito, pur meritevole in certi limiti di considerazione, 
                    ma di una particolare valutazione che detti rapporti 
                    ricevono dalla coscienza sociale, alla quale ripugna 
                    che di alcune cose qualsiasi uomo sia spogliato. Esclusi, 
                    quindi, per il carattere non patrimoniale quei diritti personalissimi 
                    relativi alla posizione giuridica del soggerto nellordinamento 
                    (quali lo stato di cittadinanza, di famiglia, di riconoscimento 
                    di prole ecc.), rientrano nella disposizione quelli relativi 
                    allimmagine, allingegno, ecc., che, specie in 
                    alcuni casi, hanno un potenziale o già attuale valore 
                    economico, tenuto conto di particolari qualità del 
                    soggetto. Sempre 
                    per la pregnante connessione allaffettività e 
                    moralità vanno esclusi anche quei diritti potestativi 
                    come Ia revoca per indegnità di una donazione. Benché 
                    possano essere influenzati da considerazioni delicate e personaIi, 
                    viene acquisito il diritto ad accettare eredità o donazioni 
                    per le quali lart. 35 legge fallim. prevede solo una 
                    valutazione degli organi fallimentari di carattere, però, 
                    esclusivamente economico (pur potendo sussistere, invece, 
                    valutazioni particolari di ordine morale). Interessandoci 
                    qui solo un profio essenziale della posizione del fallito 
                    nella procedura non ci soffermiamo in particolare analisi 
                    delle fattispecie per le quali rinviamo alla nostra opera 
                    segnalata. Nellambito 
                    dei rapporti personali non oggetto dello spossessamento provocato 
                    dal fallimento (art. 46), può constatarsi maggiore 
                    e opportuna larghezza nella determinazione della parte da 
                    lasciare al fallito per il «mantenimento» 
                    suo e della famiglia di quanto il fallito guadagni con iI 
                    suo Iavoro, tenuto conto che i limiti di tanto sono fissati 
                    autonomamente dal giudice delegato, senza che Ia norma 
                    prescriva espressa necessità di parere degli altri 
                    organi. Non 
                    condividiamo a riguardo innanzitutto lautorevole opinione 
                    che il termine mantenimento usato daIIart. 46 sia corrispondente 
                    a quello di alimenti, per cui non dovrebbero esserci 
                    apprezzabile differenza sostanziale (9), non comprendendosi 
                    le ragioni di questa. A 
                    noi sembra, invece, che sul piano giuridico e morale corra 
                    diversità sostanziale tra i beni di un patrimonio ormai 
                    assoggettato alla realizzazione della garanzia di favore dei 
                    creditori, ed il denaro che, senza sottrazione di beni preesistenti, 
                    il debitore continua faticosamente a guadagnare con il suo 
                    lavoro autonomo o subordinato, Ia cui funzione e dignità 
                    è espressamente riconosciuta dalla costituzione (art. 
                    36), che proclama il riconoscirnento di unesistenza 
                    libera e dignitosa.  
                    Anche sotto il profilo di tecnica interpretativa, del resto, 
                    non ci sembra corretto dare uguale significato a termini diversi 
                    (e che sul piano contenutistico in senso diverso vengono 
                    utilizzati dal codice civile e dalla giurisprudenza) 
                    collocati, peraltro, in due norme della stessa legge. Per 
                    la sottolineata funzione costituzionale del guadagno derivante 
                    dallattività lavorativa, non ci sembra poi condivisibile 
                    laffermazione che, in mancanza di determinazione del 
                    giudice, si verifichi lacquisizione totale della somma 
                    da parte dellufficio fallimentare e, anzi, riteniamo 
                    che in tal caso (che, peraltro, potrebbe chiamare in causa 
                    negligenze dellufficio) iI fallito possa trattenere 
                    interamente la somma in attesa della determinazione del giudice 
                    che, ovviamcnte esso fallito dovrà aver cura di informare 
                    (10). Inoltre 
                    è da sottolineare che il prevalente orientamento (11) 
                    esclude che a titolo di alimenti possano concedersi somme 
                    necessarie per spese mediche, interventi chirurgici e 
                    simili e tale esclusione se già appare troppo drastica 
                    per gli alimenti, diventa addirittura ingiustificata ed iniqua 
                    nel caso di mantenimento, in cui vè un persistente 
                    sforzo lavorativo del soggetto, tanto che la mancanza di cure 
                    potrebbe portare persino allinterruzione di tale rendita, 
                    certo con conseguenze non favorevoli per la stessa massa dei 
                    creditori. Naturalmente anche in questo caso si impone 
                    una valutazione equllibrata del giudice che tenga conto 
                    delle concrete necessità del fallito e dei sussidi 
                    terapeutici non troppo dispendiosi, nellambito di quel 
                    diritto alla salute identificato ormai dallevoluzione 
                    giuridica anche a livello costituzionale. Nella 
                    sfera dei rapporti personali, però, un accenno può 
                    farsi anche al dibattuto problema dellavocabilità 
                    del credito per risarcimento dei danni alla persona del fallito 
                    neIlambito dei rapporti strettamente personali. E 
                    noto che un orientamento sostiene che lufficio fallimentare 
                    dovrebbe in via generale surrogarsi al fallito e far propri 
                    i risultati economici favorevoli del giudizio. A 
                    tale indirizzo si oppone altro che, sottolineando la peculiare 
                    natura del danno, spesso connesso alla successiva qualità 
                    e persino durata di vita, nonché alla stessa riduzione 
                    e alla capacità di lavoro e del conseguente reddito 
                    del soggetto che ha sopportato danni anche invalidanti, afferma 
                    che da ciò non possa prescindersi e che conseguentemente 
                    non possa privarsi lindividuo di quanto ricevuto 
                    a risarcimento dei danni fisici subiti e che ha funzione di 
                    mantenere il precedente equilibrio psico-fisico-economico 
                    (12), alterato dallevento dannoso. Ci 
                    sembna innegabie il valore giuridico e sociale di tali ultime 
                    considerazioni e preferiamo aderire alle conseguenti 
                    conclusioni favorevoli al fallito, ritenendo che, altrimenti, 
                    nella sostanza si realizzerebbe, quasi, una nuova forma 
                    dellarcaica esecuzione non più sul patrimonio 
                    ma sulla stessa persona del debitore. Ci dichiariamo 
                    così anche poco propensi ad ammettere lacquisizione 
                    di somme riscosse a titolo di danno morale per il decesso 
                    di familiare, ripugnandoci unesecuzione addirittura 
                    sul dolore. Richiamiamo 
                    in tale ordine di idee lautorevole orientamento che 
                    esclude che il fallimento possa essere costretto dagli 
                    organi fallimentari a consentire lo sfruttamento di quelle 
                    qualità strettamente connesse alle particolari capacità 
                    lavorative del soggetto (artista, inventore ecc.) o addirittura 
                    dalla sua stessa immagine che in particolari casi (notorietà 
                    della persona, avvenenza fisica, ecc.) può avere 
                    un valore economico anche rilevante. Naturalmente quando 
                    il fallito non intende esercitare Ie sue possibilità 
                    lucrative in detti casi e preferisca astenersi da ogni attività 
                    non potrà certo legittimamente pretendere alcunché 
                    per alimenti. Lant. 
                    46 continua lelencazione dei beni non compresi nel fallimento 
                    e che, a parte quanto detto, sono costituiti, oltre che dai 
                    beni non pignorabili per disposizione di legge (n. 5), dei 
                    frutti di beni con destinazione familiare quali frutti derivanti 
                    dallusufrutto legale sui beni dei figli e dai redditi 
                    dei beni costituiti in patrimonio familiare, salvo quanto 
                    disposto dagli art. 170 e 326 del codice civile (n. 3), nonché 
                    dai frutti dei beni costituiti in dote e dai crediti dotali, 
                    salvo quanto è disposto dallart. 188 del codice 
                    civic (n. 4), ipotesi, per labolizione dellistituto 
                    dotale ormai limitata alle costituzioni precedenti. Prescindendo 
                    da unanalisi approfondita di tali disposizioni, ci limitiamo 
                    ad unosservazione in ordine al fatto che, in seguito 
                    alla nascita normativa del fondo patrimoniale, viene 
                    meno il patrimonio familiare (tra gil istituti, analogia 
                    a parte, non vè coincidenza). Leffetto 
                    essenziale rimane che essi sono assoggettabili allesecuzione 
                    solo per i crediti sorti nellambito delle obbligazioni 
                    contratte per i bisogni della famiglia ed in tali limiti nel 
                    fallimento non determinano per i relativi creditori alcun 
                    privilegio sostanziale, rimanendo acquisiti alla massa (13) 
                    fermo restando la specifica destinazione. Seguendo 
                    liter della procedura nella sfera di attività 
                    degli uffici per la ricostruzione del patrimonio del fallito 
                    può constatarsi che questi non ha alcun specifico ruolo, 
                    limitato essendo il suo contributo a fornire utili informazioni, 
                    oltre che sullubicazione di eventuali altri beni da 
                    inventariare, sulle circostanze di precedenti atti negoziali 
                    assoggettabili a revocatoria, simulazione ecc. Bisogna, 
                    però, riconoscere che proprio qui è più 
                    che mai giustificata la diffidenza verso il debitore fallito. Quanto 
                    al reperimento di tutto lattivo, con la ricerca anche 
                    in luoghi estranei al fallito, è evidente, infatti, 
                    che questi è il meno sensibile a tale acquisizione 
                    se ha operato con lintenzione fraudolenta di sottrarre 
                    le attività proprio allacquisizione al fallimento. 
                    Non raramente, anzi, nellimminenza della dichiarazione 
                    di fallimento, qualche imprenditore, specie utilizzando maliziosamente 
                    schemi societari, ha già provveduto a trasferire specie 
                    merci poco identificabili anche sotto apparenti gestioni altrui, 
                    non trattenuto dal timore di sanzioni penali che solo raramente 
                    si riesce poi ad infliggere. Per 
                    le azioni revocatorie, di simulazione e simili, vale sostanzialmente 
                    lo stesso discorso: se il fallito ha posto in essere atti 
                    in frode ai creditori, salvo improbabili, anche se non impossibili 
                    pentimenti, le sue affermazioni non possono che apparire sospette 
                    ed inaffidabili. Lufficio 
                    fallimentare rimane solo e si espone per azioni giudiziarie 
                    poco sicure a condanne alle spese, oltre che a ritardi esiziali 
                    della fase di chiusura della procedura. Tali 
                    considerazioni di concreto pessimismo non giustificano però, 
                    una mancata audizione a riguardo del fallito, anche perchè 
                    questi, oppresso dallinsolvenza, potrebbe aver 
                    agito sotto pressioni illecite ed, a fallimento dichiarato, 
                    potrebbe nutrire maggiore inclinazione a collaborare alla 
                    ricostituzione del suo patrimonio e godere di qualche 
                    beneficio anche in sede penale. Naturalmente 
                    il debitore dovrebbe essere bene interrogato, cosa che nella 
                    prassi non sempre avviene anche per ristrettezza di tempo. Benchè 
                    lanalisi delle varie azioni esuli dai limiti di questo 
                    lavoro, ci sembra opportuno un fugace cenno alla dibattuta 
                    questione della persistenza o meno della presunzione 
                    muciana. II 
                    nostro motivato orientamento (14) per la persistenza della 
                    stessa è confortato dallautorità 
                    di vari studiosi e da numerose decisioni di giudici di merito, 
                    ma è innegabilmente contrastato da altrettanto autorevole 
                    dottrina e recentemente da alcune decisioni della Corte di 
                    Cassazione che ha dichiarato il decesso della storica 
                    Muciana, anche nei casi di regime di separazione dei beni 
                    (15), che sembravano ancora più sottratti agli effetti 
                    modificativi della disciplina del diritto di famiglia. Riservandoci 
                    di tornare sullargomento in più opportune occasioni, 
                    non possiamo qui omettere di sottolineare che Ia motivazione 
                    addotta dalla suprema Corte, anche neIIultima decisione, 
                    fonda sullaffermazione della preminenza degli interessi 
                    della famiglia rispetto a quelli dei creditori. Con 
                    il dovuto riguardo ci sembra che tale conclusione si ponga 
                    in assoluto contrasto con le linee della legge fallimentare 
                    (di carattere pur sempre speciale) che, come riteniamo di 
                    avere qui sottolineato, invece comprimono gli interessi del 
                    fallito e della sua farmiglia, dando prevalenza a quello della 
                    categoria dei creditori e della stessa economia nazionale. Ne 
                    opiniamo possibile che solo per un caso particolare possa 
                    stravolgersi il sistema, specie nel persistente silenzio 
                    del legislatore. Manifestando così di non essere certo 
                    noi tra i difensori ad ogni costo delle esigenze economiche 
                    del fallito, riteniamo incoerente restringere gli alimenti 
                    e lo stesso mantenimento (non consentendosi talvolta 
                    cure mediche essenziali), adottare interpretazioni restrittive 
                    in tema di patrimonio familiare e fondo patrimoniale 
                    ed, in altro momento della procedura, allopposto previlegiare 
                    la famiglia nellunico caso in cui ci appare necessaria 
                    una grande prudenza, versandosi in tema di accordi fraudolenti, 
                    più che possibili molto probabili e facilmente 
                    realizzabili per i rapporti affettivi e di interesse che legano 
                    i coniugi. Nella 
                    successiva fase della liquidazione dei beni non vi è 
                    molto spazio per iniziative del fallito, anche per Ia mancanza 
                    di azioni previste a favore del debitone esecutato nellesecuzione 
                    individuale. Ciò trova natunalmente giustificazione 
                    nella particolare organizzazione che cura la vendita dei beni 
                    del fallito con la maggiore partecipazione del giudice delegato 
                    e Ia natura dellincarico del curatore che lo obbliga 
                    a curare gli interessi di tutti i partecipanti allesecuzione. Benchè 
                    Ie norme sulla liquidazione dellattivo escludono ogni 
                    necessità di audizione del fallito, e ciò anche 
                    nel caso di vendita degli immobili senza incanto (art. 108 
                    legge fallim.), in cui é allargata laudizione, 
                    appare consigliabie (anche ai fini del maggior successo 
                    della vendita), utilizzare anche lesperienza del fallito, 
                    specie nei casi di cespiti importanti. Se, 
                    come si è detto, nel corso della procedura sono abbastanza 
                    ristretti i limiti di intervento del fallito nella procedura 
                    in cui altri liquida il suo patrimonio, nella fase conclusiva 
                    di essa vè invece, un notevole recupero di tutela 
                    del predetto. Ciò 
                    è a dirsi particolarmente con riferimento al rendiconto 
                    del curatore sostanziale amministratore liquidatore dei beni 
                    oggetto dello spossessamento. Così 
                    in sede di approvazione il fallito non ha solo una facoltà 
                    di interloquire ma una piena legittimazione allimpugnazione 
                    del conto. Tale 
                    potere è ancora più concreto e significativo 
                    tenendo conto che, comè generalmente riconosciuto 
                    in dottrina e giurisprudenza, tale rendiconto non può 
                    intendersi Iimitatamente come mero rendiconto contabile, bensì 
                    come rendiconto di gestione in senso più ampio (che 
                    trascende lespressione alquanto riduttiva dellart. 
                    116), costituendo loccasione in cui il curatore deve 
                    dimostrare di aver avuto nelle vane scelte operative ed in 
                    generale nelIadempimento delle sue funzioni una 
                    condotta diligente, ma anche oculata, si da rendere la liquidazione 
                    la migliore possibile nellinteresse non solo dei creditori, 
                    ma anche dello stesso debitore (16) La 
                    previsione legislativa così dimostra come lesercizio 
                    di unazione giudiziaria da parte del fallito può 
                    convenientemente giovare oltre che a se stesso (in maniera 
                    molto indiretta) anche ai creditori, in definitiva concreti 
                    beneficiari di ogni somma che il curatore fosse chiamato 
                    a pagare, se responsabile; creditori peraltro, che per 
                    vane ragioni non seguono la procedura con quella attenzione 
                    e continuità che meglio può attuare un fallito 
                    vigilante. In 
                    definitiva in tale conclusiva occasione viene a realizzarsi 
                    nellambito del rendiconto fallimentare quellobbligo 
                    del mandatario verso il mandante, anche se non è proprio 
                    da tale schema giuridico che iI curatore trae i suoi poteri, 
                    che traggono origine in un particolarissimo rapporto pubblicistico. In 
                    sede di ripartizione dellattivo la legge non riconosce 
                    alcuna facoltà al fallito, che pure è rimasto 
                    il titolare del patrimonio da liquidare e da ripartire, 
                    mentre è previsto dallart. 110 legge fallim. 
                    giustamente laudizione del comitato dei creditori destinatari 
                    dei pagamenti e tale disparità ci sembra alquanto criticabile. Invece 
                    concreta è la possibilità di iniziativa del 
                    fallito nel momento finale della chiusura del fallimento, 
                    potendo lo stesso, ai sensi dellart. 119 legge fallim. 
                    sollecitare formalmente il decreto di chiusura per gli effetti 
                    a lui favorevoli che questa comporta. Inoltre, 
                    benché lart. 119 legge fallim. esplicitamente 
                    preveda solo che il fallito debba essere sentito dalla corte 
                    di appello in caso di reclamo (ovviamente altrui), condividiamo 
                    il prevalente orientamento (17) favorevole al riconoscimento 
                    della legittimazione al reclamo del fallito, il quale in particoIari 
                    circostanze (in genere possibilità di maggiore realizzo) 
                    può vantare quel concreto interesse che legittima al 
                    reclamo. Infine 
                    in sede di concordato fallimentare la legittimazione del fallito 
                    (altro caso previsto dalla legge) è piena poichè, 
                    come è noto, Ia proposta è riservata proprio 
                    al debitore fallito e questultimo deve essere sentito 
                    dal giudice delegato (art. 129 legge fallim.) prima della 
                    fissazione delludienza (in una forma di sostanziale 
                    contraddittorio con i creditori). Inoltre 
                    il fallito è conseguentemente legittimato aIlimpugnazione 
                    della sentenza che conclude il giudizio (art. 131 legge fallim.). Abbiamo 
                    lasciato per ultimo Ia trattazione di una questione che, pur 
                    rientrando negli effetti del fallimento, ha una sua particolare 
                    rilevanza e può presentarsi in qualunque momento della 
                    procedura. Ci 
                    riferiamo allammissibilità o meno di un nuovo 
                    esercizio dellimpresa commerciale da parte dellimprenditore 
                    fallito nel corso della procedura fallimentare. II 
                    quesito è di non facile risoluzione e ciò giustifica 
                    autorevoli orientamenti contrastanti. Abbiamo 
                    avanti ricordato che al fallito rimane (con le poche limitazioni 
                    personali) Ia possibilità di esercitare qualsiasi professione 
                    o mestiere ed in forma autonoma o subordinata. Il 
                    problema in esame si accentra sul fatto che per gestire unimpresa 
                    sono necessari normalmente consistenti mezzi economici per 
                    lacquisto o Ia locazione di macchinari (o anche pen 
                    unaffitto dazienda), che verrebbero distolti dalla 
                    naturale destinazione di soddisfare, secondo il principio 
                    concorsuale, i creditori precedenti. Inoltre 
                    si presenta lulteriore e conseguente analoga questione 
                    relativamente alle somme ricavate dalla gestione. Tutto 
                    ciò non sussiste per unattività lavorativa 
                    diversa sia subordinata sia autonoma, perché anche 
                    in questultimo caso i mezzi operativi sono di valore 
                    economico limitato. Anche 
                    in tale campo, certamente consentito, del resto opera il principio 
                    che il fallito può trattenere per se solo quanto necessanio 
                    per il mantenimento della famiglia, conseguendo al curatore 
                    Ia differenza che in alcuni casi, sia pure rari, potrebbe 
                    essere consistente per il valore professionale delIindividuo. La 
                    questione della possibilità di esercitare una nuova 
                    impresa (già delicata con riferimento allimprenditore 
                    commerciale individuale) assume aspetti ancora più 
                    complessi per limprenditore sociale. Daltra 
                    parte non vediamo come potrebbe ritenersi una soluzione diversa 
                    per questultimo sia sul piano tecnico giuridico, sia 
                    già specificamente su quello della legittimità 
                    costituzionale con rifenimento agli artt. 3 e 41 cost. Peraltro 
                    a tal proposito è da ricordare che ormai è pacifica 
                    la sopravvivenza alla dichiarazione di fallimento non 
                    solo della società (essendo detta dichiarazione solo 
                    un caso di scioglimento ex art. 2448 cod. civ.), ma degli 
                    stessi organi societari, che continueranno ad esercitare le 
                    loro funzioni nei limiti ristretti consentiti dalla gestione 
                    del curatore basti pensare alla richiesta di concordato 
                    fallimentare) (18). Le 
                    difficoltà specifiche per la società sussisterebbero 
                    già per lutilizzazione della denominazione, che 
                    non raramente per Ia sua importanza, anche sotto il profilo 
                    dellavviamento, ha valore economico che il fallimento 
                    deve acquisire e che da unulteriore gestione da parte 
                    della fallita potrebbe avere danno. Tra 
                    le altre problematiche basti pensare alla necessità 
                    di ricapitalizzazione, ai bilanci distinti anche sotto il 
                    profilo fiscale, allincapacità ad amministrare 
                    sancito dallart. 2382 cod. civ., che costringerebbe 
                    probabilmente a nominare nuovi amministratori per la nuova 
                    impresa. Tornando 
                    al tema generale osserviamo che dalle premesse accennate risulta 
                    Ia nostra opinione contraria alla possibilità di detto 
                    esercizio dimpresa da parte di un fallito, che abbiamo 
                    già da tempo diffusamente motivato (19). Tale 
                    conclusione negativa già era stata da tempo efficacemente 
                    proposta da autorevole dottrina (20) e sembrava destinata 
                    a prevalere, ma recenti altrettanto autorevoli orientamenti 
                    contrari anche della giurisprudenza della Corte di Cassazione 
                    ci hanno fatto avvertire lopportunità di un nuovo 
                    nostro contributo sulla spinosa disputa. Opiniamo 
                    utile premettere che già sul piano aziendalistico, 
                    specie in relazione alle maggiori esigenze economiche delle 
                    imprese moderne, appare incongruo ipotizzare una nuova gestione 
                    sul mercato da parte di imprenditore fallito che già 
                    non gode della necessaria fiducia e manca conseguentemente 
                    della possibilità di ricorrere a finanziamenti (peraltro 
                    dalla sorte quanto mai incerta), nonché di quel pur 
                    modesto capitale che assicura attività operativa e 
                    riserva per le varie emergenze (e tale osservazione vale che 
                    nellipotesi in cui il fallito gestisca con unazienda 
                    di cui siano titolari terzi). Passando 
                    ad un esame più specificamente normativo, pacifico 
                    essendo che il fallito non perde Ia capacità di agire, 
                    va preso innanzitutto in considerazione il fatto che, mentre 
                    lart. 551 del codice di commercio del 186 stabiliva 
                    espressamente nel codice di commercio del 1882 e nella legge 
                    vigente. Tale 
                    silenzio veniva così ritenuto dai sostenitori della 
                    tesi ammissiva (21) come una vera innovazione legislativa 
                    che legittimava il fallito ad una nuova impresa commerciale. Ci 
                    sembna che, invece, la cennata mancata previsione normativa 
                    sia stata sopravvalutata, in quanto, comè stato 
                    osservato (22) la tendenza Iegislativa italiana è stata 
                    sempre contraria allulteriore attività commenciale 
                    del fallito e linnovazione avrebbe dovuto trovare più 
                    sicura manifestazione. Sotto 
                    tale profilo, anzi condividiamo laffermazione (23) che 
                    il diritto vigente ha posto «il fallito in una 
                    condizione inconeciliabile con la facoltà di esercitare 
                    unattività imprenditizia commerciale». In 
                    effetti più di una mera omissione a nostro parere vale 
                    tutto il sistema della legge fallimentare ed in più 
                    specifico riferimento normativo può farsi alle norme 
                    che dispongono lo spossessamento patrimoniale, linefficacia 
                    degli atti dispositivi successivi al fallimento (che 
                    non rientrino nella sfera strettamente personale), nonché 
                    Ia già richiamata incapacità del legale rappresentante 
                    della società ad amministrare altra società 
                    (che ci sembra di portata maggiore a quella di una norma particolare). A 
                    confonto della nostra conclusione negativa riteniamo utile 
                    richiamare osservazioni che provengono da autorevoli esponenti 
                    dellorientamento da noi non condiviso. Innanzituno 
                    da parte di essi viene generalmente ammesso che la gestione 
                    in questione non potrebbe essere ottenuta con unazienda 
                    di proprietà del fallito proprio per i principi normativi 
                    da noi sopra richiamati, che imporrebbero limmediata 
                    acquisizione allattivo falimentare dei beni costituenti 
                    lazienda. La 
                    gestione, dovrebbe quindi attuarsi con mezzi openativi di 
                    terzi messi a disposizione del fallito (con o senza corrispettivo), 
                    ma anche in tal caso si presentano notevoli ostacoli per linevitabile 
                    problematica relativa al ricavo di gestione. Potrebbe 
                    ammettersi (per Ia parte di profitto che superi Ie necessità 
                    familiari) un investimento nellimpresa del denaro 
                    ricavato o questo dovrebbe devolversi alle finalità 
                    del fallimento? Come 
                    stabilizzare i pagamenti fatti dallimprenditore nella 
                    gestione tenendo conto dellacennato principio dellinefficacia 
                    e come regolamento lo stesso rapporto di nuovo conto corrente 
                    bancario che più volte ha suscitato contrasti 
                    nella giurisprudenza anche della Corte di cassazione? Potrebbe 
                    farsi ricorso, ad eliminare almeno parzialmente le indicate 
                    discrasie, allart. 42, comma 2, legge fallim. e 
                    considerare così (contro Ia stessa opinione di alcuni 
                    sostenitori della tesi contraria alla nostra (24) le spese 
                    di gestione «passività incontrate per Iacquisto 
                    e la conservazione dei beni» e sottrarli per questa 
                    via al sistema dellinefficacia? Ci 
                    sembra arduo dare risposta affermativa a tutti tali quesiti. Affermare 
                    poi che il fallito potrebbe rivolgersi a schemi associativi 
                    (anche per mascherare Ia sua diretta gestione), nel mentre 
                    che non elimina sostanzialmente la problematica e porta 
                    il discorso sullaquisizione delle quote di titolarità, 
                    pone in evidenza la possibiità di manovre confliggenti 
                    con Ia necessità di trasparenza sempre più avvertita 
                    anche nel campo dei rapporti commerciali. E 
                    pertinente, anzi richiamare il pensiero del Provinciali, che 
                    pur non ravvisando un divieto legislativo aIlesercizio 
                    del fallito, disapprova tale omissione sottolineando che «tale 
                    sistema si presta ad abusi, complicazioni e gravi intralci 
                    al fallimento in corso» (25). Del 
                    resto è sintomatico che anche il Ferrara, a sua volta 
                    autorevole esponente dellorientamento favorevole, sottolinea 
                    che il fallito non è in condizione di formarsi un patrimonio 
                    su cui possano fare affidamento i creditori successivi ai 
                    fini del soddisfacimento e non può disporre dei beni 
                    acquistati senza rendersi colpevole del reato di bancarotta 
                    fraudolenta e che, pertanto, il fallito non può essere 
                    sottoposto ad un nuovo fallimento (26). Infine 
                    il Satta, anche lui favorevole allesercizio dellimpresa 
                    da parte del fallito, dopo aver premesso, in contrasto con 
                    Ferrara e Andrioli, che lart. 42 comma 2 non è 
                    invocabile, conclude che «finché il fallito non 
                    incide nei diritti dei creditori concorsuali, è padrone 
                    di fare quello che crede e anche di seminare nuove azioni 
                    a danno dei terzi» (27), coclusione che ci pare non 
                    tener conto del principio di buona fede e degli interessi 
                    generali delleconomia, la cui considerazione è, 
                    invece, tra Ie finalità essenziali di carattere pubblicistico 
                    alle quali si ispira il legislatore fallimentare. Trattasi, 
                    comè palese, di osservazioni critiche pesanti 
                    che già dovrebbero indurre a non dar troppo peso 
                    allomessa esplicita previsione del divieto, che, invece, 
                    può agevolmente ricavarsi dal sistema, tanto più 
                    che, nellopinabilità di una soluzione, sembra 
                    più congruo preferire quella più consona allesigenza 
                    dell economia. Bisogna 
                    tuttavia registrare che, modificando alquanto lorientamento 
                    giurisprudenziale, la Corte di cassazione recentemente sembra 
                    implicitamente aver seguito la tesi che esclude il divieto 
                    con la decisione a sezioni unite del 10 dicembre 1993, n. 
                    12159 e richiamando quella n. 1417 del 1989, in materia di 
                    apertura di conto corrente da parte di un fallito, ha stabilito 
                    (in contrasto con la sentenza n. 6777 del 1988): «applicando 
                    tale criterio al caso che il fallito, dopo Ia dichiarazione 
                    di fallimento, abbia esercitato una nuova attività 
                    di impresa, rispetto alla quale in astratto è dato 
                    alla curatela di acquisire, oltre che i singoli beni aziendali, 
                    lazienda nel suo complesso (in modo che la massa consegue 
                    anche lavviamento) ovvero gli utili dellimpresa», 
                    con Ia medesima sentenza è stato esattamente affermato 
                    che in questultima ipotesi, la quale soltanto viene 
                    in questa vicenda in esame, lacquisizione è necessariamente 
                    limitata agli utili netti, non potendo essere acquisiti anche 
                    i ricavi che sono stati inseriti nellesercizio dellimpresa, 
                    per i quali chiaramente sussiste il rapporto di inerenza richiesto 
                    dallart. 42 comma 2 (28). La 
                    detta sentenza, con riferimento poi alla stipulazione del 
                    contratto di conto corrente, aggiunge che «i pagamenti 
                    ed i versamenti alluopo eseguiti dal fallito costituiscono 
                    atti dellesercizio dellimpresa, opponibili al 
                    fallimento anche della banca presso cui il conto corrente 
                    è stato aperto in quanto presentato il carattere 
                    di passività incontrate dal fallito per il conseguimento 
                    dellutile». A 
                    prescindere da questultima parte che rimane fuori dal 
                    nostro argomento, ci sembra che questa sentenza pare 
                    affermare la possibilttà di unimpresa del 
                    fallito piuttosto teorica, essendo legata Ia sua sopravvivenza 
                    alla volontà o meno di una sua acquisizione da parte 
                    del curatore del fallimento.  
                    Ne comprendiamo come limpresa possa svilupparsi se ogni 
                    utile venga acquisito dal precedente fallimento (a prescindere 
                    dalle necessità familiari del fallito). Non 
                    possiamo fare a meno di osservare che la decisione prende 
                    in considerazione la nuova impresa più come dato 
                    di fatto oggettivo, senza soffermarsi a riconoscere e 
                    motivarne esplicitamente la legittimità, limitandosi 
                    soprattutto a stabilire gil effetti dellattività 
                    commerciale intrapresa dal fallito e lapplicabilità 
                    o meno del comma 2 dellart. 42 legge fallim. allinstaurato 
                    rapporto di conto corrente, questioni che avevano precedentemente 
                    diviso nella soluzione le sezioni della stessa Corte di cassazione, 
                    riunitesi a sezioni unite per risolvere il contrasto. Conclusivamente 
                    ribadiamo La nostra convinzione contraria aIlammissibilità 
                    dellesercizio da parte del fallito di una nuova impresa 
                    (tanto più nelle contraddizioni che si manifestano 
                    nellorientamento contrario al nostro. Più 
                    che mai, poi, escludiamo la possibilità di una seconda 
                    dichiarazione di fallimento che ancor più sicuramente 
                    riteniamo in contrasto con il principio basilare allo 
                    stato della nostra legislazione che fallisce limprenditore 
                    e non limpresa e che nel corso della stessa procedura 
                    (altro il caso di una ripresa successiva dellattività 
                    sulla quale torneremo in unaltra occasione) non può 
                    dichiararsi due o più volte il fallimento dello stesso 
                    imprenditore.  
                    Solo nel caso che di fatto il fallito abbia comunque esercitato 
                    una nuova impresa potranno trovare applicazione i principi 
                    enucleati dalla dottrina e giurisprudenza sulle conseguenze 
                    sul piano economico. A 
                    conclusione del nostro lavoro a volere esprimere un giudizio 
                    complessivo sul trattamento stabilito dalla legge aI 
                    fallito nellimpianto strutturale della sua procedura 
                    (rispetto alla quale, a secondo dei casi, puo essere considerato 
                    «colpevole» o talvolta soltanto «vittima») 
                    ci sembra di poter concludere che se in generale è 
                    condivisibile lo schema normativo, non manca qualche momento 
                    di squilibrio, sia considerando levoluzione la più 
                    tutelata posizione del debitore nellesecuzione individuale. Comurique 
                    è certo che il miglior esito è assicurato non 
                    solo dal massimo impegno degli organi fallimentari (generalmente 
                    però oppressi da un eccessivo carico) ma anche 
                    dallo stesso fallito, che troppo spesso, invece si disinteressa 
                    della procedura per negligenza o incapacità.       NOTE   (1) 
                    DE MARTINI, Gli elementi costitutivi ed estintivi dello status 
                    di fallito, in questa rivista, 1943, I, 39; CARNELUTTI, 
                    Diritto e processo, in Trattato di diritto processuale civile, 
                    Napoli, 1958, pag. 389; PAJARDI, Manuale di diritto fallimentare, 
                    Milano, 1974, pag. 145. Sembrano vicino a tale concezione: 
                    Cassazione, sez. pen., 29 novembre 1958 e 9 novembre 1959 
                    in questa rivista, 1959, II, 611 e 1960, II, 260; contra SATTA, 
                    Sul preteso (ed inesistente) status del fallito, ivi, 1962l, 
                    II, 5; PROVINCIALI, Trattato di diritto fallimentare, Milano, 
                    1974, pag. 772; RAGUSA MAGGIORE, Diritto fallimentare, Napoli, 
                    1974, pag. 249; PRVINCIALI-RAGUSA MAGGIORE, Istituzioni di 
                    diritto fallimentare. Padova, 1988, pag. 231. Ci sembra che 
                    il termine status più che in senso tecnico, che escludiamo 
                    in quanto in questo caso estraneo al nostro ordinamento vigente, 
                    possa essere utilmente usato per esprimere sinteticamente 
                    Ia condizione in cui trovasi il fallito con riferimento ai 
                    complessi effetti del fallimento, che pur giustificano la 
                    sua indicazione nel registro dei falliti. V. in generale: 
                    GRISPIGNI, La condizione giuridica del fallito nel diritto 
                    pubblico interno, in Riv. dir. comm., 1912, I, 598; CARNELUTTI, 
                    Capitis deminutio del fallito, in Riv. dir. proc., 1952, II, 
                    582; Id., Il fallito nel suo processo, in questa rivista, 
                    1972, I, 249.   (2)Acutamcnte 
                    osserva al riguardo il PROVINCIALI, Trattato cit., I, pag. 
                    24: «questa peculiare situazione del debitore (che, 
                    avendo la titolarità del patrimonio che forma oggetto 
                    delIesecuzione collettiva, mentre è parte 
                    nei confronti dellufficio concorsuale che conduce lesecuzione, 
                    è soggetto passivo della realizzazione che lufficio, 
                    a lui sostituendosi, compie del patrimonio stesso) spiega 
                    come, nel mutare dei rapporti e della situazione patrimoniale, 
                    egli si presenta ora con qualità di parte, ora come 
                    soggetto passivo del provvedimento, riproducendosi in 
                    questultima situazione lo stato di soggezione in cui 
                    si trova per la garanzia patrimoniale che lo sovrasta...» 
                    . Sul punto V. BONELLI, Del fallimento, Milano, 1923, n. 249, 
                    pag. 519 (pur nella sua superata concezione di patrimonio 
                    separato e dellente fallimento).   (3) 
                    Ancora recentemenre B0NGI0RN0, La prova dei crediti per lammissione 
                    al concorso, in Riv. dir. proc., 1995. pag. 353, afferma che 
                    «il procedimento di verifica è giuridicamente 
                    organizzaro in modo tale da mortificare ed emarginare il debitore 
                    fallito, che, non assumendo in qualità di parte, non 
                    può neppure impugnare le decisioni che si riflettono 
                    sul suo patrimonio». V. anche PR0VINCIALI-RAGUSA 
                    MAGGIORE, Istituzioni, cit.. pag. 472, che osserva «il 
                    fallito non ha poteri e legittimazione processuale in ordine 
                    alle azioni che incidono sulla consistenza del suo patrimonio, 
                    ma non sarebbe giusto che nessuna altra persona provveda alla 
                    tutela di questo partimonio che rappresenta poi Ia garanzia 
                    verso una pluralità di creditori. La legittimazione 
                    nel curatore è sostitutiva di quella del debitore in 
                    relazione al giudizio di verifica». Per la nostra concezione 
                    sul provvedimento di verifica e per ulteriori richiami rinviamo 
                    a MAZZOCCA, Manuale di diritto fallimentare, Napoli, 1966, 
                    pagg. 359 segg. ed anche per Ia nota questione della mancanza 
                    di legittimazione del fallito ad impugnare lo stato passivo.   (4) 
                    Motto critico sulla limitazione PROVINCIALI, Trattato, cit., 
                    II, pag. 881, che, comunque, ritiene ammissibile lintervento 
                    anche col riferimento a reati diversi da quello di bancarotta. 
                    Cfr. Tribunale Roma, 28 luglio 1951, in Foro it., 1952, I, 
                    1143. Contra: BONSIGNORI, Il fallimento, in Trattato di diritto 
                    cornmerciale e di dir. Pubbl. econ. diretto da Galgano, Milano, 
                    pag. 338; Cassazione, 19 gennaio 1970, n. 1001, in Giur. it., 
                    1971,I, 1, 1750; 5 agosto 1960, n. 2307, in questa rivista, 
                    1960, II, 815 (neppure se la decisione della controversia 
                    può avere unefficacia soltanto mediata ed indiretta); 
                    Tribunale Genova, 11 maggio 1985, in Giur. comm., 1985, II, 
                    812. Per 
                    Ia legittimazione del fallito nel caso di disinteresse del 
                    curatore (a condizione della ratifica) Cassazione, 11 novembre 
                    1967, n. 2734, in Mass. Giust. civ., 1967, 1425; 11 aprile 
                    1983, n. 2544 e 14 aprile 1983, n. 2599, in quesra rivista, 
                    1983, II, 1029; 15 novembre 1983, n. 7400, ivi, 1984, II, 
                    391 (sempre che Iufficio abbia dimostrato di volersi 
                    interessare ma è ancora inerte). V. però PROVINCIALI 
                    Trattato, cit., pag. 861 e FERRARA, Il fallimento, pag. 42. 
                    che escludono ogni iniziativa in quanto Ia tutela dellinteresse 
                    è trasferita allorgano pubblicistico. In senso 
                    meno rigoroso SATTA, Istituto, cit., pag. 387; VOCINO, in 
                    questa rivista, 1972, I, 249; PROVINCIALI-RAGUSA MAGGIORE, 
                    Istituto, cit., pag. 241; MAZZOCCA, Manuale, cit., pag. 209. 
                    Non può agire però il singolo creditore: Cassazione, 
                    9 dicembre 1966, n. 884 in questa rivista, 1966, II, 238; 
                    SACCO, Legittimazione del creditore nel fallimento a procedere 
                    in via surrogatoria, in Giur. It., 1992, I, 850. In generale 
                    Iintervento è ritenuto ammissibile anche per 
                    le società di capitale tramite gli amministratori: 
                    Tribunale Napoli, 3 aprile 1981, in questa rivista, 1981, 
                    II. 307: leccezione, però, viene esclusa da Cassazione, 
                    10 agosto 1960, n. 2263, ivi, 1960, II, 619, per gli amministratori 
                    di società non dichiarati falliti.   (5) 
                    Manuale, cit., pag. 204; così PAJARDI, Manuale, cit., 
                    pag. 289.   (6) 
                    Cassazione, 30 giugno 1959, n. 2070, in questa rivista, 1959, 
                    II, 597; conf. FERRARA, Il fallimento, pag. 305 che ritiene 
                    che la casa debba liquidarsi per ultimo); PROVINCIALI-RAGUSA 
                    MAGGIORE, Istituzioni, cit., pag. 219, ove è sottolineato 
                    che fuori della norma è il caso che il fallito abiti 
                    in casa di terzi senza avere alcun titolo a rimanervi; così 
                    Cassazione, 18 ottobre 1967, n. 2487, in questa rivista, 1968, 
                    II, 201. Poichè Ia disposizione stabilisce che la casa 
                    non «può essere distratta sino alla liquidazione 
                    delle attività», luso del plurale esclude 
                    che possa più limitatamente intendersi che il diritro 
                    del fallito è solo a rirnanere in casa sino alla vendita 
                    di essa attuabile in qualsiasi momento, come ritenuto anche 
                    da Cassazione, 17 marzo 1958, n. 869, in questa rivista, 1958, 
                    II, 5, con diffusi richiami. In senso riduttivo anche PROVINCIALI, 
                    Trattato, cit., II, pag. 1412, in nota. In caso di fallimento 
                    di società di persone, benché il socio, in quanto 
                    fallito, possa far ricorso agli alimenti, non può vantare 
                    il relativo diritto alla casa di proprietà della scuola 
                    per Tribunale Milano, 10 novembre 1988, in Fallimento, 
                    1988, 444.   (7) 
                    Cassazione, 30 giugno 1959, n. 2070 cit.; conf. PAJARDI, Manuale. 
                    cit., pag. 289, contra, Cassazione, 17 marzo 1958, n. 
                    869 cit.   (8) 
                    Per Tribunale Roma, 25 febbraio 1955, in questa rivista, 1955, 
                    II, 367, è responsabile solidale, mentre per Pretura 
                    Palombara Sabina, 12 agosto 1966 in Mon. trib., 1967, 619, 
                    risponde solo il fallito. V. Appello Roma, 18 febbraio 1957, 
                    in questa rivista, 1957, 11, 390. In generale v. PROVINCIALI, 
                    Trattato, cit., II, pag. 783   (9)DE 
                    SEMO, Diritto fallimentare, Padova, 1968, pag. 240; PAJARDI, 
                    Manuale, cit., pag. 287.   (10) 
                    Nel primo caso, DE MARTINI, Il patrimonio del debitore nelle 
                    procedure concorsuali, Milano, 1956, pag. 160; ANDRIOLI, Il 
                    fallimento, pag. 403, (che, ravvisando un rapporto tra il 
                    debitore e il curatore, ritiene che questo si liberi versando 
                    in tal caso gil emolumenti al primo e ritiene che Ia regola 
                    fallimentare, allopposto di quella ex art. 545 cod. 
                    proc. civ., sia quella che gli assegni siano compresi, salvo 
                    che per Ia parte esclusa dal provvedimento, conclusione che 
                    non ci sembra armonizzarsi con il dettato normativo in quanto 
                    lart. 46 stabilisce che «non sono compresi nel 
                    fallimento...», a parte Iidendità di funzione 
                    dei beni nelle due norme); Cassazione, 13 novembre 1964 n. 
                    2738, in Giur. it, 1965, I, 1, 578; nel secondo senso, PAJARDI, 
                    op. loc. cit., che osserva che per lart. 44 la regola 
                    è lesclusione dallo spossessamento e ritiene 
                    che lesclusione valga anche per i crediti da lavoro 
                    cessato; su tale ultimo punto contra Cassazione n. 2738/1964, 
                    e conf. DE FERRA, Una particolare categoria di beni sopravvenuti, 
                    in Temi, 1959, 566. Si è ritenuto che la norma deroghi 
                    alla disciplina fissata per i pubblici dipendenti dal 
                    t.u. 5 gennaio 1950 n. 180 e art. 2 legge 18 maggio 1968 n. 
                    315, in materia di pignorabilità degli stipendi: PAJARDI, 
                    Manuale, cit., pag. 287; Cassazione, 10 Iuglio 1968, n. 2399, 
                    in Giur. it., 1969, I, 1, 497; 25 luglio 1986, n. 4758, in 
                    questa rivista, 1987, II, 9; contra, PROVINCIALI, Trattato, 
                    cit., II, pag. 829.   (11) 
                    PROVINCIALI, Trattato, cit., pag. 782; PROVINCIALI-RAGUSA 
                    MAGGIORE, Istituzioni, cit., pag. 218; contra, CELORIA-PAJARDI, 
                    Commentario della legge fallimentare, Milano, 1963, pag. 747; 
                    DE FERRA e GUGLELMUCCI, Commentario della legge fallim. della 
                    Zanichelli, Bologna, pag. 154; Tribunale Napoli, 22 ottobre 
                    1982, in Fallimento, 1983, 698.   (12) 
                    Nel primo senso, PROVINCIALI, Trattato, pag. 825, che eccettua 
                    solo il caso di risarcimento in forma specifica come Ia somma 
                    per lacquisto di una protesi e ritiene che lufficio 
                    fallimentare (che dovrebbe agire in generale indipendentemente 
                    dalliniziativa del fallito, mentre la giurisprudenza 
                    ritiene questa necessaria) non possa farlo solo quando trattasi 
                    di particolari reati quail lo stupro, la diffamazione e simili. 
                    Cassazione, 7 maggio 1963, in Giur. it, 1964,I, 1, 704; 31 
                    maggio 1971 n. 1652, in Foro it., 1971,I,2,2801 (anche per 
                    Ia morte di un congiunto, salva Ia facoltà del giudice 
                    delegato di lasciare parte della somma al fallito); 4 febbraio 
                    1992 n. 1210; ivi, 1993, II, 955, che, pur sempre sulla precisazione 
                    dellavocabilità solo quando il diritto abbia 
                    per effetto del giudizio assunto valore economico, riconosce 
                    al fallito la possibilità di ottenere parte della somma 
                    per il mantenimento di cui al n. 2 dellart. 46; Cassazione, 
                    20 maggio 1982, n. 3115, in questa rivista, 1982, II, 901 
                    (ritiene giustamente in questo caso acquisibile il risarcimento 
                    del danno da parte di chi abbia provocato il dissesto); 
                    nel secondo senso AZZOLINA, Il fallimento e le altre procedure, 
                    Torino, 1961, pag. 516; RAGUSA MAGGIORE, Diritto fallimentare, 
                    pag. 287; PAJARDI, Manuale, cit., pag. 286, ed Avocabilità 
                    al fallito del credito di risarcimento di danno alla persona, 
                    in questa rivista, 1958, I,105; DI GRAVIO, I beni non compresi 
                    nel fallimento, in Collana diretta da Greco, Milano, 1994, 
                    pag. 85.   (13) 
                    Per la riconosciuta differenza tra i due istituti secondo 
                    un orientarnento giudiziario non opererebbe per il fondo patrimoniale 
                    lesclusione dellindicato n. 3 ed i beni sarebbero 
                    aquisibili alla massa, andando a costituire una massa separata 
                    destinata aI pagamento dei debiti sorti nellinteresse 
                    della farniglia: Tribunale Catania, 2 giugno 1986, in questa 
                    rivista, 1986, II, 740, con nota di Abramo; Tribunale Catania, 
                    31 maggio 1987, in Giur. comm., 1987, II, 267, con nota di 
                    AULETTA. Per SATTA, Diritto fallimentare, aggiornato da VACCARELLA 
                    e LUISO, Padova, 1990, pag. 146, lesclusione sussiste 
                    solo per i precedenti patrimoni familiari, mentre i beni del 
                    fondo patrimoniale per diversa sua natura, sono acquisibili, 
                    fermo restando la destinazione al pagamento delle obbligazioni 
                    familiari. V. PROVINCIALI-RAGUSA MAGGIORE, Istituzioni, cit., 
                    pap. 642.   (14) 
                    Espresso nel nostro Manuale, a pag. 118.   (15) 
                    Cassazione, 29 dicembre 1995, n. 13149 in questa rivista, 
                    1996, II, 169, con nota favorevole di RAGUSA MAGGIORE, La 
                    presunzione muciana è definitivamente caduta, e contraria 
                    di RAGO, In difesa della presunzione muciana. Contrarie anche 
                    Ie conclusioni del procuratore generale di udienza. Riteniamo 
                    opportuno segnalare che la decisione non ha chiuso il dibattito, 
                    essendo stata seguita già da una decisione di segno 
                    opposto della Corte dappello di Napoli in corso di pubblicazione.   (16) 
                    Conf. PROVINCIALI, Il rendiconto del curatore, in questa rivista, 
                    1963, I, 165; PROVINCLALI-RAGUSA MAGGIORE, Istituzioni, cit., 
                    pag. 608; Cassazione, 13 giugno 1953, n. 1742, in Giur. Compl. 
                    Cass. Civ., 1953, 38, con nota di DE MARCO, Sulla disciplina 
                    del rendiconto del curatore; 1957, n. 3287, II, 1957, 
                    II, 554; 23 gennaio 1985 n. 277, in questa rivista, 1985, 
                    Ii, 400; RAGUSA MAGIORE, Fallimento (liquidazione e ripartizione), 
                    in Enc. giur. Treccani, pag. 21 privilegia la natura pubblicistica. 
                    E da considerare che in tale sede, secondo lorientamento 
                    prevalente, PROVINCIALl, Trattato, cit., pag. 2715; FERRARA, 
                    Il fallimento, cit., pag. 541; Cassazione 7 febbraio 1970, 
                    n. 289, in Giust. Civ., 1970, I,330; n. 287/1985 cit., possa 
                    chiedersi laffermazione di responsabilità per 
                    danni: contra Tribunale Roma, 24 gennaio 1963, in Temi rom., 
                    1963, 25. Vedi DE MARTINI, Portata ed effetti della partecipazione 
                    del fallito agli atti della procedura fallimentare, in Riv. 
                    dir. Comm., 1948, II, 141 segg., in nota critica a Cassazione, 
                    27 giugno 1947. (17) PROVINCIALI, Trattato, cit., pag. 791;DE SEMO, Diritto 
                    fallimentare, cit., pag. 459; SPARANO, La chiusura del fallimento 
                    ed il completamento della liquidazione coatta amministrativa, 
                    Padova, 1994, pag 258.
   (18) 
                    Sul punto v. MAZZOCCA, Manuale, cit., pag. 511.   (19) 
                    MAZZOCCA, op. cit., pag. 60.   (20) 
                    CANDIAN, Non altro fallimento in costanza dellattuale, 
                    in Temi, 1956, 457, e Imposibilità di una nuova impresa 
                    in costanza di fallimento, in questa rivista, 1958, I, 113; 
                    AZZOLINA, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, 
                    Torino, 1961, pag. 571; BIANCHI DESPINOSA, Lattività 
                    commerciale del fallito, in Giust. civ., 1956, I, 1214; SCALFI, 
                    Impresa esercitata dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento, 
                    in questa rivista, 1967, I, 224; v. BONELLI, Del fallimento, 
                    Milano, 1923, I, pag. 369   (21) 
                    PROVINCIALI, Trattato, cit., pagg. 370, 811; ANDRIOLI, Fallimento, 
                    in Enc. dir XVI, pag. 406; DE MARTINI, Attività negoziale 
                    ed attività processuale del fallito durante il fallimento 
                    in questa rivista, 1971, I, 205; FERRARA, Il fallimento, Milano, 
                    1974. pag. 300; SATTA, Diritto fallimentare, cit., pag. 
                    141.     (22) 
                    BRUNETTI, Diritto fallimentare, Roma, 1932, pag. 261.   (23) 
                    AZZOLINA, op. cit., pag. 555.   (24) 
                    FERRARA, op. cit., pag. 300; contra: ANDRIOLI, op. loc. cit.; 
                    SATTA, op. loc. cit.   (25) 
                    PROVINCIALI, Op. loc. cit.   (26) 
                    FERRARA, Il fallimento, cit., pagg. 297, 284, 300.   (27) 
                    SATTA, op. cit., pag. 142.   (28) 
                    In questa rivista, 1994, II, 411; in giurisprudenza a favore 
                    della seconda impresa: Tribunale Venezia, 3 fehbraio 1989, 
                    in Fallimento, 1989, 1140; contra Tribunale Roma, 29 maggio 
                    1959, in Giust. civ., 1959, I, 2230; più problematica 
                    Cassazione, 4 luglio 1956, n. 2430, in questa rivista, 1956, 
                    II, 641; 24 marzo 1962. n. 607, in Giust. civ, 1962, I, 1283.      |